Arrivi tra grandi speranze, poi il cammino si fa più difficile e i coach diventano “uomini soli al comando”. E pagano per tutti
Ha ottenuto il monitoraggio giornaliero delle condizioni fisiche e atletiche dei giocatori della nazionale, colloqui con cadenza settimanale o quasi con tutti i tecnici del campionato e poi sarà il “coordinatore” di tutte le nazionali giovanili, di cui potrà supervisionare gli allenamenti e la gestione dei ragazzi in collaborazione con gli altri tecnici federali. Avrà infine parola anche nella gestione del settore tecnico sia a livello centrale che regionale.
No, non stiamo parlando del nuovo contratto-tipo che verrà proposto ai ct che ci sono o che verranno, non nel rugby almeno. Le caratteristiche elencate all’inizio di questo articolo sono quelle che specificano i compiti di Antonio Conte, nuovo selezionatore della nazionale italiana di calcio. Il tentativo, fortemente voluto dal tecnico, di rendere più simile possibile la vita della squadra azzurra a quella di un club.
Idea che – siamo pronti a scommetterci – non spiacerebbe nemmeno a Jacques Brunel, che pure di squadre da “girare” e coordinare ne avrebbe meno. Per un motivo o per l’altro però la famosa collaborazione e unione di intenti tra nazionale e franchigie non ha mai funzionato a dovere. Non con Nick Mallett, non con l’attuale ct. Il sudafricano, va detto, si è trovato anche a gestire una situazione celtica in divenire, per Brunel invece il panorama era già chiaro. Almeno in teoria.
Che cosa non ha funzionato? Difficle dirlo dall’esterno. Bisognerebbe mettere attorno a un tavolo i due tecnici, gli staff di Aironi, Benetton Treviso e Zebre, i loro dirigenti e i due presidenti federali che si sono susseguiti in questi anni. Avremo da tutti una testimonianza inevitabilmente parziale, ma dalla eterogeneità generale riusciremmo ad ottenere un quadro complessivo piuttosto chiaro. Ma questo ovviamente non succederà e su questo aspetto i diretti interessati hanno sempre parlato pochissimo.
Quello che registriamo è una sorta di parabola simile per quanto riguarda i tecnici della nazionale: un arrivo con grandi speranze e grande voglia di fare, poi – con il passare dei mesi e con i risultati al di sotto delle aspettative – arriva una sorta di “autunno del ct”, come se si rendessero conto che quello che vorrebbero fare rimarrà inevitabilmente sulla carta, che non ci sono le condizioni per poterlo mettere in pratica. Che non si vogliono creare quelle condizioni. E alla fine sono costretti a vivacchiare, cercano di ottenere il meglio da un ambiente che non li protegge come dovrebbe, che non li aiuta davvero e poi prendo armi e bagagli e se ne vanno. E noi ripartiamo da zero. Una parabola che trova una rappresentazione plastica nell’umore generale dei diretti interessati che con il passare dei mesi si fa più buio.
Nick Mallett e Jacques Brunel hanno sicuramente commesso errori ma stiamo comunque parlando di tecnici di grande levatura, eppure siamo riusciti in qualche modo a “deprimerli” (con mille virgolette). Intendiamoci, non stiamo dicendo che qualcuno all’interno della federazione lavori intenzionalmente e coscientemente contro i ct, a partire dal presidente di turno, ma ci sono un’atmosfera e una struttura che sembrano aver sviluppato una sorta di vacino di autodifesa che la rende immune alle novità che potrebbero stravolgerle. Tipo un ct con reali poteri di gestione della struttura tecnica. Ct ai quali si chiedono giustamente risultati, ma si tratta di una richiesta che sembra riguardare solo loro.
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