I campioni del mondo verso la costruzione di una macchina praticamente perfetta. A prescindere dagli interpreti
Nel 2007 per arrivare pronti alla coppa del mondo di Francia, lo staff tecnico, medico e scientifico degli All Blacks sviluppò un piano per fare in modo che i giocatori arrivasserro all’apice della loro condizione fisica proprio nelle settimane che contavano. In più avevano messo a punto un secondo piano che consentisse di avere più “back-up” possibili nel caso di infortuni: quei piani erano il Ricondizionamento e la Rotazione. Col senno di poi non ci fu più grande errore di quello disegnato dall’allora allenatore Sir Graham Henry, tanto sta che gli All Blacks furono eliminati dalla Francia ai quarti di finali risultando spompati, senza un piano B di gioco e senza specialisti nelle posizioni chiave tali da apprendere il gioco voluto dallo staff tecnico.
Il motto “sbagliando s’impara” non fu mai più azzeccato che nel caso dei “three wise men” (i tre saggi) Henry, Smith e Hansen, ai quali fu data una seconda chance nel 2011 e vinsero ogni scommessa portando a casa la coppa tanto bramata per 24 anni. Consistenza e Continuità sono le parola chiave di questo gruppo di dirigenti che fanno degli All Blacks – sia in campo che dietro le scrivani – la squadra di rugby più forte al mondo.
Sabato scorso in quel di Napier i 22.570 spettatori paganti e non, hanno assistito all’ennesimo show firmato in nero dove, nonostante il campo pensante e la pioggia a catinelle, i padroni di casa hanno saputo portare a casa il risultato con ben quattro mete. Cosa chiedere di più? Il più sta per arrivare. Questo sabato nella capitale Wellington arrivano i rivali per eccellenza: gli Sprinboks. E l’infermeria degli All Blacks è quasi piena: Tony Woodcock fuori per tutto il torneo, Jerome Kaino ne ha per altre quattro settimane, Sam Whitelock e Liam Messan fuori per tre settimane. Cruden dovrebbe tornare, mentre Dan Carter dovrebbe ricominciare con la ITM Cup. Dane Cole sta per avere un bimbo e salterà forse una partita. In un mondo reale ci si dovrebbe preoccupare, ma sull’All Blacks planet tutto è tranquillo. In fin dei conti questi sono al 60% gli stessi giocatori e staff che diedero una maglietta a Stephen Donald e gli fecero calciare la punizione che valse la coppa del mondo. Non una goccia di sudore, non un balbettio di fronte alle camere da parte di Hansen. Forse qulache brutta parola tra le quattro mura.
Gli All Blacks hanno creato ora un sistema intorno ai magnifici XV che scendono in campo che prevede che i rimpiazzi, cioè i panchinari, siano tali ed uguali per forma, conoscenza del piano di gioco e qualità del quindici scelto. Ok, magari non proprio tutti, ma chi non vorrebbe avere nella propria nazionale gente che veste le maglie dal 16 all 22 nero?
Una prova: la sostituzione di Bauden Barrett per mano di Colin Slade non era programmata e Barrett, infatti, non ne era al corrente. Alla domanda del perché della sostituzione Steve Hansen risponde: “Bauden non era infortunato e stava giocando molto bene. Abbiamo solo deciso di dare considerevoli minuti in campo a Colin. Per tenerlo nel giro, per tenerlo attento, concentrato e in grado di entrare se necessario quando conterà”. Ora, questo è pianificare con calma a lungo termine anche dettagli che per noi sono insignificanti. L’effetto Dan Carter sostituito da Colin Slade, sostituito a sua volta da Aaron Cruden e sostituito poi da Stephen Donald, ha insegnato. Infatti con grande calma Hansen ha anche discusso altre sostituzioni dei prossimi giorni: McCaw a sei per far entrare Sam Cane a sette, Patrick Toipulotu al posto di Sam Whitelock. E poi Nathan Harris: uscito dalla stessa accademia di Sam Cane del Bay of Plenty, l’apprendista, che avrà il suo debutto proprio contro i terribli sudafricani. Un debutto da sogno.
The bottom line, cioé ciò che conta, è che nulla qui in Nuova Zelanda, nel rugby, è più lasciato al caso. La Federazione nazionale ha commesso errori ma ha anche imparato da essi e soprattutto ha dato la possibilità allo staff di mettere a punto piani e programmi che permettono oggi come oggi di non andare mai nel panico. In fin dei conti non si è vinto quando McCaw e Carter erano in campo e si è vinto con un ragazzotto che era la quarta scelta come apertura. Si chiama progammazione a lungo termine.
di Melita Martorana
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