Non parlarne mai può risultare controproducente. Ma come sempre serve il giusto equilibrio nelle valutazioni
Nelle ultime settimane i fischietti di un po’ tutta Ovalia sono finiti nel mirino di tifosi e addetti ai lavori, allenatori e giocatori compresi. Prendendo come ideale punto di partenza la finale di Super Rugby, con annesse scuse di Joubert e dichiarazioni non proprio lodevoli di Kaplan nei suoi confronti, e arrivando fino alla clamorosa meta non assegnata a Senatore contro gli All Blacks, è un periodo in cui le terne continuano a dare occasioni per far parlare di sé. E quando si parla tanto di arbitri, nove su dieci è per mettere in evidenza l’operato negativo (nel decimo caso ha arbitrato Owens). Per citare solo alcuni casi: i fischietti del Championship sono finiti dalla parte meno nobile della celebre rubrica “Who’s hot and who’s not” di Planet Rugby, il Director of Rugby dei Newport Dragons ha dichiarato che senza TMO in ogni match il Pro12 non avrà mai credibilità, Andrew Mehrtens ha iniziato il suo pezzo su stuff.co.nz chiedendosi perché tra tutti i maggiori sport proprio il rugby abbia i peggiori standard di arbitraggio a livello internazionale, il columnist del Sidney Morning Herald Paul Cully ha scritto che sempre più incontri vengono decisi da chiamate sbagliate, mentre il collega del New Zealand Herald ha titolato “Middle men ruining rugby”.
Posto che non parlare mai dell’operato dell’arbitro può divenire alla lunga frustrante e controproducente, se non masochistico, la domanda è se esista un possibile equilibrio tra il silenzio assoluto e aprioristico e una qualunque sparata in stile De Laurentis. La risposta è sì. Anche noi rugbisti, ogni tanto e sempre con educazione, possiamo parlare di arbitri. Ma solo dopo aver posto alcune necessarie premesse.
Innanzitutto, bisognerebbe capire quale sia l’arbitro migliore. Quello che non sbaglia, ovvio, ma nell’arco degli ottanta minuti e dal punto di vista di un match e di un allenatore probabilmente è quello che influisce meno nell’economia gioco. Per capirci, non quello che sbaglia meno, ma quello che “sbaglia uguale”, applicando lo stesso metro per consentire o limitare il gioco di entrambe le squadre.
Secondo, la sensazione che un arbitro sbagli apposta o per evidente sudditanza psicologica nei confronti di una determinata squadra o di un determinato giocatore, non si è quasi mai avvertita. Vero che talvolta a certe squadre viene concesso qualcosa in più (se ci provassero gli isolani a fare certe provocazioni in stile Springboks pioverebbero cartellini), ma in generale la nettissima sensazione in caso di errore è quella della buona fede. Poi certo, non sbagliasse proprio sarebbe meglio, ma questo è impensabile.
Ciò detto, è evidente che il gioco abbia assunto un livello di velocità tale per cui i due occhi del singolo arbitro non sempre bastano. Non solo, ma le squadre che si lamentano sono le stesse che allenano e mettono in pratica tutta una serie di escamotage al limite del regolamento (e soprattutto della vista dell’arbitro) per creare difficoltà alla difesa: tra blocchi, finti penetranti che ostacolano la scalata (vedi meta di Hendricks), guardie trattenute sul punto d’incontro ed altro è sempre più complicato cogliere situazioni che talvolta nemmeno il replay riesce a chiarire. Non solo, gli arbitri vengono studiati, decifrati, decriptati, per sapere in quali key area forzare la mano e in quali invece comportarsi meglio.
Come si può uscire da questa situazione, posto che l’errore umano è una delle componenti con cui fare i conti negli sport non meccanici? L’uso/abuso abuso del TMO non deve essere la panacea di tutti i mali, tanto più che la RFU ha chiesto di limitarne la chiamata (chi un paio di domeniche fa era a Parma per Zebre-Cardiff Blues, in campo o sugli spalti, non può che concordare).
Il doppio arbitro potrebbe essere una soluzione da sperimentare, così come andrebbe forse potenziata la comunicazione arbitro-assistenti, permettendo a questi ultimi di avere maggiore potere decisionale. Steve Hansen ha parlato in questi giorni della necessità di semplificare il regolamento, cosa che farebbe piacere anche ai guru televisivi dello sportainment, anche se molte delle nuove regole sono state introdotte proprio per aumentare i minuti giocati e di conseguenza lo spettacolo in campo.
Ma fortunatamente, rispetto ad altri sport di squadra, il nostro ha il grandissimo vantaggio che quasi sempre il più forte prevale: catenacci e rigori inventato al novantesimo non se ne vedono tanti, e a memoria umana non ci sono match decisi esclusivamente da una chiamata sbagliata. Giusto mettere in evidenza gli errori, ma da qui parlare di partite pesantemente influenzate ne passa. O forse qualcuno può sostenere che l’Argentina meritava di battere la Nuova Zelanda o che il titolo dei Waratahs sia uno scandalo?
Di Roberto Avesani
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