“Baby we were born to ruck”. La palla ovale made in USA che ci piace

Negli States sempre più giocatori e una Federazione che si muove con grande efficienza. Con un sogno nel cassetto: la RWC

ph. Paul Thomas/Action Images

Ricordate il nostro mini viaggio nella crescita del rugby in Giappone, che aveva avuto come ideale inizio un gioco di parole su un celebre arrangiamento degli Animals (“The house of the rising scrum”)? Ebbene, oggi ci spostiamo di migliaia di chilometri, negli Stati Uniti. Dove la palla ovale è sempre più diffusa, ma soprattutto dove la Federazione sta tremendamente facendo sul serio.

“Could Rugby Union take off in the US?” si chiedeva nel settembre 2011 Tom Geoghegan dalle pagine digitale della BBC. A circa tre anni di distanza, la risposta non può che essere positiva. E una tappa fondamentale del processo di affermazione e diffusione della palla ovale nel paese a stelle e strisce è il fatto che il primo novembre gli All Blacks scenderanno in campo a Chicago. Non solo, si preanuncia fin da ora il sold-out, con 61.000 spettatori presenti, record assoluto per un match di rugby disputato in America. Tra le altre tappe di questo processo, a titolo puramente esemplificativo, il piazzamento generale alle Seven World Series del 2010 (decimo posto, il migliore di sempre), la diffusione della palla ovale all’interno dello sport collegiale, e il riconoscimento Development Award attribuito dall’IRB alla Federazione statunitense per lo sviluppo del programma Rookie Rugby, che ha permesso a circa due milioni di bambini tra i sei e i dodici anni di correre tenendo una palla ovale. Nel 2011, secondo il report annuale condotto dalla Sporting Goods Manufacturers’ Association (SGMA), tra i 120 sport di squadra diffusi in tutti gli States proprio il rugby era quello in maggiore espansione, mentre l’anno precedente il numero di atleti praticanti il full contact era cresciuto da 75.000 a 1.3 milioni. Una palla di neve che rotola e si ingigantisce sempre più, l’hanno definita da quelle parti.

 

Nigel Melville, CEO della Federazione, in una recente intervista si è detto estremamente soddisfatto di quanto sta accadendo alla palla ovale americana, soprattutto per la diffusione che essa sta avendo a livello scolastico e collegiale. E a proposito dell’arrivo dei tutti neri, nulla è lasciato al caso, con una campagna promozionale e pubblicitaria che, assicura Melville, darà tantissimo risalto all’evento. Insomma, nulla ma proprio nulla è lasciato al caso. E sappaimo che quando gli americani decidono di buttarsi in un progetto, costi quel che costi lo portano avanti.
Se dovessimo indovinare il prossimo paese non appartenente ai confini tradizionali di Ovalia in cui verrà organizzata un’edizione della Coppa del Mondo, siamo pronti a scommettere più di qualche dollaro sugli Stati Uniti. Il numero di squadre e tifosi è in forte crescita, le strutture adeguate di certo non mancano,  in fatto di marketing ed interessi economici la cosa filerebbe via perfettamente, e recentemente Mike Miller, chief del Board, ha dichiarato al New York Times che non è una questione di se ma di quando. E l’antipasto potrebbe essere la Coppa del Mondo di Rugby Seven, in programma nel 2018, e nei confronti della quale la Federazione avanzerà nei prossimi mesi la propria candidatura.

Di Roberto Avesani

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