Essere celtici o no, il Veneto discute e il Pro12 non è un dogma

I presidenti dei cinque club più importanti di una regione decisiva del nostro movimento hanno affrontato un tema spinoso

ph. Corrado Villarà

L’articolo è stato pubblicato pochi giorni fa, sul Gazzettino andato in edicola lunedì ed è passato inosservato. Come sempre l’appuntamento è con “Mischia aperta”, la rubrica di Antonio Liviero, uno dei giornalisti ovali più preparati che scrivono al di qua delle Alpi. Il tema di questa settimana era una cena. Non una cena qualsiasi però, ma quella informale che dopo mesi di tensioni ha rimesso attorno a un tavolo i presidenti delle quattro società venete e il numero uno del Benetton Treviso Amerino Zatta di cui abbiamo parlato anche noi la scorsa settimana. Tensioni magari a volte rinvigorite e tenute alte da qualche “agente esterno”, diciamo così, ma va detto che se qualcuno al di fuori di quella cerchia riesce ad alimentare attriti e dissidi è perché lì in mezzo la benzina non sembra mancare mai.
Dicevamo dell’incontro però, che è avvenuto casa di Enrico Toffano, massimo dirigente petrarchino: grazie a Liviero conosciamo anche il menu che è stato servito ma il giornalista veneto però ci racconta anche cose magari meno buone se ci trovassimo seduti a tavola tra una forchetta e un coltello ma decisamente succose da un punto di vista rugbistico. Leggete questo stralcio:

 

Nella cena di martedì, sono state già raggiunte due convergenze tematiche preliminari. La prima riguarda la formazione giovanile: la struttura delle accademie e dei centri federali è considerata elefantiaca e da ridurre drasticamente per dare spazio a un intervento di qualità diffuso sul territorio, cioè spalmato nei singoli club. La seconda: il Pro12 non è un dogma. Il presidente del Rovigo Francesco Zambelli ha posto la questione della possibile uscita dal torneo celtico per rilanciare il campionato domestico, iniettandovi i fondi federali e delle Coppe. Ipotesi che non è stata scartata a priori dal presidente del Benetton, Amerino Zatta. In sostanza, Treviso pensa che il Pro12 abbia senso solo se in grado di essere un reale mezzo di crescita competitiva per tutto il movimento e non a qualunque costo.

 

Magari ci sbagliamo, ma ancorché non ufficiale e a livello ancora embrionale, è la prima volta che una ipotesi del genere viene seriamente messa sul tavolo per essere analizzata. Tanto più se viene fatto da società che nello spazio di 2 o 3 anni potrebbe essere direttamente coinvolte nell’avventura celtica attraverso la formazione di una franchigia regionale, ovvero i Dogi.
Probabilmente senza volerlo i presidenti veneti hanno messo il dito in una delle piaghe più dolorose ed economicamente pesanti del nostro movimento che naviga a metà tra un torneo che ha finora portato benefici importanti ma forse limitati al nostro rugby e una competizione nazionale che tecnicamente ha perso davvero molto dall’inizio dell’avventura celtica.
I numeri, a spanne, li conosciamo con il Pro12 costa circa un quarto del budget dell’intera federazione e la domanda è sempre la stessa: qualcuno ha fatto un’analisi dei costi/benefici che Celtic League e Pro12 hanno portato dopo un lustro? E poi: se 10-12 milioni di euro all’anno – e per un periodo di 5 anni, quale è a oggi la durata della presenza italiana in quel torneo internazionale- venissero iniettati nel campionato nazionale quanto potrebbe crescere quest’ultimo in termini agonistici, tecnici e di appeal economico/televisivo?

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