In Galles la lega delle regions celtiche cambia nome e rilancia il proprio ruolo dopo mesi davvero difficili. E da noi?
Che cosa è la Regional Rugby Wales? O meglio, cosa era? L’organizzazione che rappresenta gli interessi delle quattro Regions gallesi e che all’inizio di questa settimana ha cambiato il nome in Pro Rugby Wales, un nuovo battesimo per ridare vigore a una strategia che ha il suo core business nello sviluppo del rugby in quelle terre. Detta in parole povere: è la lega dei club pro in Galles.
In Italia, come sappiamo non esiste nulla di simile. Noi di OnRugby l’argomento lo abbiamo toccato, sfiorato e accennato qualche volta e siamo convinti che si tratti di una mancanza davvero pesante nel nostro panorama ovale. Chiaramente, viste le differenze tra il nostro movimento e quello degli altri partner europei, non si può pensare a nulla di simile rispetto a quanto esiste appunto in Galles, Francia (LNR) o Inghilterra (Premiership). In termini quantitativi e qualitativi. Non fosse altro che noi di club pro ne abbiamo solo due e uno è al 100% federale. Ma un’associazione che riunisca quantomeno il Benetton Treviso e le società dell’Eccellenza è un qualcosa che farebbe un gran bene.
Certo, c’era la LIRE e sappiamo tutti come è finita: male, malissimo. Tra l’altro in una intervista rilasciata a questo sito dal rappresentante della G.I.R.A. Federico D’Amelio si sosteneva che in realtà la LIRE non è mai stata davvero chiusa, solo è diventata una specie di scatola vuota. Però se una storia di quel tipo è andata diversamente da come ci si aspettava non significa che quel genere di organizzazione non serva. Uno può separarsi e divorziare, ma non smette di innamorarsi.
In Italia siamo molto litigiosi, non solo nel rugby. Siamo il paese dei mille campanili e gli interessi particolari – spesso ottusi – hanno distrutto l’esperienza della LIRE. Non ci piacerebbe un organismo che facesse solo da contrapposizione alla FIR, ne serve uno che ci lavori assieme, che discuta e che faccia da camera di compensazione a desideri e volontà che esistono nel nostro movimento ma che oggi non riescono a trovare uno sfogo e che fanno quindi da tereno di coltura a polemiche spesso mediaticamente infinite e geograficamente limitate. Se invece convogliate nella pancia di un’associazione dal respiro più ampio possono diventare uno stimolo.
Certo momenti di tensione non mancherebbero, non mancano nemmeno in Francia, Inghilterra e Galles e le cronache di questi ultimi mesi lo dimostrano. Lì però i momenti più critici spesso si chiudono con compromessi al rialzo, non sempre, ma alla fine il movimento intero beneficia di una dialettica magari dura ma serrata. L’importante è avere una corretta predisposizione, ovvero essere convinti delle proprie posizioni ma al contempo propensi ad ascoltare l’altro, che come diceva Arthur Bloch “due monologhi non fanno un dialogo”. Bisogna sapere guardare un po’ al di là del proprio naso e del proprio ego. Non poco, ce ne rendiamo conto, ma bisogna darsi degli obiettivi un po’ elevati.
Perché se la nascita – oggi eventualissima – di un’associazione di club dovesse servire solo a uno sterile muro contro muro allora possiamo continuare rimanerne senza. Forse.
Il Grillotalpa
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