Equiparati e Accademie, un nuovo passo verso dove?

Il Consiglio Federale ha stabilito che gli stranieri nelle Accademie, fintanto che vi rimangono, saranno equiparati agli italiani

ph. Sebastiano Pessina

Integrazione normativa utilizzo giocatori Accademie
Il Consiglio ha deliberato di equiparare i giocatori di formazione estera che frequentano le Accademie, durante il periodo di permanenza presso le strutture federali, agli atleti di formazione italiana per l’utilizzo nei campionati italiani.

Sono parole riportate sul comunicato della FIR che ha fatto seguito al Consiglio Federale dello scorso venerdì tenuto ad Ascoli Piceno. Argomento spinoso quello degli equiparati e dei giocatori di formazione italiana, che suscita sempre grandi polemiche. Il fatto contingente, ovvero la decisione presa dall’ultima riunione del parlamentino federale, in realtà sembra essere di natura molto pratica e poco “politica”: si è trovato un escamotage per non mettere a referto come stranieri i giocatori cresciuti altrove ma che attualmente sono in Italia e che frequentano un’Accademia federale. Cosa che a rigor di logica ci sta, e non va dimenticato che si tratta di una equiparazione temporanea.
Si dirà che si sta preparando la strada a quei ragazzi che nei prossimi mesi arriveranno dal sud del Pacifico, dove negli scorsi mesi è stata effettuata una missione di alcuni osservatori italiani: il presidente Gavazzi ha detto in un paio di occasioni che si tratta di 2/3 elementi, magari alla fine saranno anche qualcosa in più (vedremo comunque, non è detto) ma non sarà certo una invasione.

 

Di sicuro la delibera del Consiglio Federale si inserisce in un percorso aperto all’inizio di agosto 2013 quando vene votato “sì” a una proposta che – come scrivevamo allora – prevedeva che “i giocatori provenienti da Federazione straniera che saranno inseriti per almeno due stagioni sportive nelle Accademie federali saranno equiparati a Giocatori di formazione italiana”. E qui il mondo si divide tra quelli che di questo genere di politiche non ne vogliono nemmeno sentir parlare e chi invece in maniera più prosaica legge questa possibilità come una opportunità. D’altronde – si dice – lo fanno neozelandesi, australiani, irlandesi, inglesi, gallesi, scozzesi. Perfino i francesi ormai. Ed è vero. Tutti movimenti che però hanno grande cura della propria base, con forme, politiche e metodologie molto diverse tra loro. Può non piacere, e in effetti lo spettacolo non è dei migliori, ma le regole lo consentono.
Il nostro vivaio ha qualche problema, “produce” ancora pochi giocatori che hanno oltretutto qualche anno di ritardo rispetto alle nostre controparti europee, e tirare fuori per l’ennesima volta la tiritera dell’apertura italiana che non riusciamo a “costruire” non serve un granché. Però la situazione è oggettivamente quella.
Ricorrere a forze cresciute altrove non è un peccato ma non deve  diventare la soluzione: può essere una stampella che ci aiuta a sostenerci in un momento in cui si zoppica ma bisogna imparare a stare in piedi sulle nostre gambe.

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