A Genova contro la Banda Brunel i Pumas hanno schierato 5 Under 21 e due Over 30. E noi quando vedremo una “giovine Italia”?
“L’Argentina in tre anni (18 partite) di Quattro Nazioni ha fatto più progressi dell’Italia in quindici (75 partite) di Sei Nazioni”. Inizia con questa dura ma inoppugnabile sentenza il pezzo di Ivan Malfatto pubblicato sulle pagine di ieri del Gazzettino. E quale Argentina ha battuto l’Italia? Malfatto si è concentrato sul dato anagrafico, ed ecco quanto è emerso: nei Pumas hanno giocato cinque Under 21 e due Over 30, in Italia un Under 21 (Campagnaro) e dieci Over 30. A fronte di questi numeri, confronto di conseguenza impari anche a livello di team caps: 654 per l’Italia, 267 per i nostri avversari. Malfatto prosegue la precisa analisi con la somma dei giocatori Pro (7 per l’Argentina e ben 22 per l’Italia) e di quelli di formazione straniera (zero per l’Argentina, come policy UAR prevede, e nove tra gli Azzurri). La crescita dell’Argentina è innegabile, e dal 2016 in avanti, anno di ingresso di un team argentino nel Super Rugby, sarà ancora più evidente. Ma il dato che forse più interessa, e dal quale forse dipendono a cascata tutti gli altri, è quello sulla presenza degli Under 21.
Non considerare eleggibili giocatori di formazione straniera è per alcuni (Argentina e Sudafrica) una policy, per altri una libera scelta, per altri una necessità. Senza il blocco argentino, difficilmente il rugby azzurro nel passato e nel presente sarebbe arrivato dove è adesso. Senza contare che alcuni tra i più forti e famosi azzurri di sempre sono nati in Argentina.
Ma la questione, semmai, è un’altra: perché oggi l’Argentina può permettersi di non convocare giocatori di formazione straniera? Perché può mandare in campo cinque giovanissimi argentini. L’altra faccia della domanda: perché non possiamo permetterci di non convocare giocatore stranieri? Perché, evidentemente, non abbiamo dei giovanissimi già pronti.
Da questo interrogativo dipendono poi tutti i dati riportati da Malfatto: se non hai giovanissimi l’età media è più alta, aumenta la somma dei caps, e devi rivolgerti all’equiparazione per mettere in piedi una squadra competitiva.
Le due cose, schierare giocatori di formazione straniera e produrre un vivaio fresco e competitivo, possono benissimo andare assieme, a meno che qualcuno non insinui che Nuova Zelanda e Inghilterra non siano in grado di conciliare alla grande i due aspetti. La politica delle Accademie, i cui risultati forse è ancora presto per valutare, ha il compito di risolvere queste problema endemico al nostro rugby, anche se partire con il grosso handicap di aver preferito la quantità sulla qualità rappresenta già di per sé una bella zavorra, senza considerare che avviare una scuola di rugby d’eccellenza senza aver prima formato gli allenatori è un po’ come aprire un ristorante stellato ed affidarlo ad un aiuto cuoco. Ma tant’è.
Il distacco comunque c’è, ed ogni appuntamento Under 20 è lì a ricordarcelo. I nostri atleti, ai quali andrebbe fatto un monumento dopo ogni partita, quando giocano contro i top team si trovano ad affrontare da giocatori di Serie B, A ed Eccellenza, atleti abituati a ritmi e livelli ben superiori. A giugno al Mondiale di categoria gli Azzurrini hanno giocato contro l’Australia, capitanata da quel Sean McMahon che l’altro giorno, a pochi mesi di distanza, era in campo con i Wallabies contro la Francia. E contro l’Inghilterra, il cui capitano Callum Braley ha giocato in questa stagione un finale di partita con Gloucester.
Facciamo ora un salto indietro. Ai JRWC2011 gli Azzurrini di Cavinato giocavano Palazzani e Campagnaro, nei Baby Blacks Piutau, Saili, TJ Perenara, Anscombe, Cane, Luatua e Barrett, nell’Inghilterra Mako Vunipola, Farrell, Ford, Wade, Launchbury, Yarde, nella Francia Vahaamahina, Plisson, Buttin e Doussain.
Oltre Manica, dalle pagine dell’ultima edizione di The Rugby Paper, Nick Cain chiede che i giocatori dell’Under 20 inglese trovino più spazio in match di Premiership, lamentando i lunghi tempi di passaggio dalla nazionale Under 20 a quella Seniores rispetto alle tre dell’Emisfero Sud (il titolo dell’articolo è Too many of our guns are left firing blanks). Ma se si lamentano loro, noi cosa dovremmo fare?
Di Roberto Avesani
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