Cartellini, fischietti e indipendenza: mettiamo gli arbitri sotto i riflettori

OnRugby intervista il presidente CNAR Maurizio Vancini: parliamo di soldi, prospettive, Calvisano e Falzone

ph. Pino Fama

ph. Pino Fama

Partiamo da qualche numero generale, scattiamo una fotografia. Qual è la situazione-arbitri in Italia?
Il panorama dice che in Italia ci sono circa 1.200 arbitri a partire da quelli internazionali fino ad arrivare alla base. Numero che comprende anche una certa quota di soggetti che hanno lasciato l’attività ma sono rimasti nei vari comitati con altri ruoli. In campo vanno circa un migliaio di fischietti.
Per quello che riguarda il vertice il successo di questi primi 18 mesi di nostra “legislatura” vertono soprattutto a livello internazionale perché da 5 anni nell’ex Heineken Cup non avevamo nessun tipo di presenza e nel giro di appunto 18 mesi siamo riusciti ad avere 5 appuntamenti con Marius Mitrea che è il nostro arbitro di punta. Vi posso anzi anticipare che nel prossimo turno di Champions Cup dirigerà Leinster-Castres, prima dovrà arbitrare Ospreys-Scarlets e Leinster-Ulster di Guinness Pro 12. Partite importanti quindi.

 

E il resto del gruppo degli internazionali?
Siamo contenti di come sta andando. Per fare un esempio Vivarini, che a livello di ranking è il nostro numero due, in Challenge Cup a gennaio dirigerà il derby francese tra Bayonne e La Rochelle. E poi vanno bene anche Blessano e i ragazzi, io li chiamo così, che stanno uscendo dalla nostra Accademia Arbitri di Tirrenia.

 

Un paio di settimane fa sono stati diffuse le terne arbitrali del prossimo Sei Nazioni e l’unica presenza azzurra è quella di Mitrea che farà da assistente in un paio di incontri. Vedere un arbitro italiano dirigere una gara del torneo è un qualcosa di ancora molto lontano? Lo stesso dicasi per i test-match…
Noi auspichiamo che avvenga molto presto. Mitrea ormai è nel gruppo dei dieci migliori arbitri europei. La sostanza è che si deve arrivare a un cambio generazionale che è in programma dopo la RWC 2015. Da lì in poi io mi auguro che si spalanchino le porte, in realtà basterebbe che si aprissero.

 

E’ una questione tutta politica quindi, mettendo questa parola tra virgolette quindi? Una volta che si arriva a quel livello essere scelti o meno diventa una questione di peso specifico?
C’è da dire che avere avuto questi 5 anni senza un arbitro a quei livelli non ha certo giovato. Per entrare in quegli ambienti bisogna avere un certo tipo di esperienza che Mitrea, Vivarini, Blessano, Liperini, Rizzo ormai hanno o stanno acquisendo ma che al momento è inferiore a quella che hanno ad esempio gli arbitri irlandesi mentre rispetto agli arbitri scozzesi siamo ormai in una posizione di privilegio. Un passo avanti lo abbiamo fatto e contiamo di fare il prossimo nel minor tempo possibile.

 

Facciamo invece un passo indietro: quanto è difficile reclutare un arbitro? Convincere un ragazzo o un giocatore a intraprendere questo tipo di carriera…
Ci sono alcuni aspetti. Il primo non tutti lo conoscono, ma esiste la possibilità di essere derogati a qualsiasi livello tra i 16 e i 50 anni: chiunque giochi o sia tesserato per una società può chiedere di arbitrare. Un qualsiasi giocatore può quindi giocare con il suo club e poi arbitrare un’altra partita, deve ovviamente fare il corso, prendere diciamo il brevetto e poi può anche tesserarsi come arbitro e dirigere una gara.
In alcune aree, come la Lombardia, abbiamo un folto numero di arbitri-giocatori, soprattutto tra i giovani, nella fascia 18-23 anni. Ma anche a livello nazionale i numeri sono importanti.

 

Lei parlava anche di altri aspetti…
C’è quello economico, che incide parecchio, ma in Italia a pesare molto è il legame che giocatori hanno con il club. Per un rugbista che ancora gioca o che sta per lasciare l’opzione numero uno è quella di essere coinvolti come tecnici o dirigenti dalla propria società piuttosto che intraprendere una carriera come quella arbitrale. Credo che questo sia un dato di fatto.

 

Abbiamo letto una dichiarazione del responsabile del settore tecnico FIR, Franco Ascione, in cui si parlava dell’intenzione di arrivare prima o poi a una elite di arbitri professionisti. E’ un obiettivo, una strada percorribile anche in un lasso di tempo medio-lungo?
Noi abbiamo ad oggi pochissimi contrattualizzati, tra l’altro con contratti a tempo parziale o incentivanti. Il discorso dell’arbitro professionista dalle nostre parti è un qualcosa che nasce solo in tempi molto recenti, ora le cose sembrano cambiare anche in base a quanto avviene nelle altre federazioni. Resta il fatto che come quella del giocatore anche la carriera di un arbitro ha un termine fisiologico, magari leggermente spostato in avanti rispetto a un atleta ma è comunque legata a un discorso di risultati e condizione fisica.
Io comunque auspicherei il fatto che si possa arrivare a una situazione di professionismo, non per tutti ma per l’elite, per gli arbitri internazionali.

 

Veniamo a un aspetto che fa molto discutere, l’indipendenza degli arbitri. Come è noto la struttura è stata cambiata, il CNAR è stato portato dentro la Commissione Tecnica Federale perdendo la sua autonomia
Facciamo un passo indietro. Che cosa è cambiato? Noi non abbiamo più un designatore per categoria, come avveniva in precedenza quando ce n’era uno per l’Eccellenza, uno per la Serie A, Serie B e così via. Si è voluto arrivare ad un comitato di designazione che si interfaccia con una parte organizzativa e una tecnica. Con me nel comitato ci sono Mario Borgato, Salvatore Di Falco e Carlo Orlandi, il primo è stato un grande giocatore e arbitro, il secondo ha un grande passato sul campo da rugby come direttore di gare mentre il terzo, che collabora con noi da tempo, è stato una gloria azzurra e allenatore della mischia della nazionale.

 

Però la situazione è oggettivamente cambiata rispetto a un paio di anni fa. Prima il presidente CNAR veniva indicato dal Consiglio Federale e lui in autonomia sceglieva il designatore, oggi nel comitato designatore c’è una figura – nello specifico Orlandi – che non fa parte dell’organigramma CNAR ma dipende in maniera diretta dal settore tecnico. Detto in maniera brutale: chi sceglie i suoi collaboratori?
Io. Il comitato di designazione viene ovviamente approvato dal Consiglio Federale però i nominativi vengono sottoposti su indicazione del presidente CNAR.
Questa presunta pressione che gli arbitri subirebbero è una cosa che vorrei sfatare: non abbiamo mai, e sottolineo mai, subìto nessun tipo di ingerenza da parte di nessuno riguardo a qualsivoglia designazione. Certo designare a volte non è semplice e cerchiamo di evitare qualsiasi tipo di vicinanza geografica tra direttore di gara e squadre da arbitrare. Ma nessuna pressione.
Siamo pronti al confronto ma devo dire che tutto quello che si legge in giro non è corretto. Si dice che un arbitro dà spessore e valore a una partita quando quasi non ci si accorge che è in campo. Abbiamo tanta consapevolezza per rimanere lontani da questo genere di situazioni.

 

Nessuna pressione quindi, ma non si rischia almeno in qualche caso di essere più realisti del re? In altri ambiti sportivi si parla di sudditanza psicologica, un qualcosa che magari poteva avvenire anche qualche anno fa ma ora c’è un coinvolgimento più diretto del Consiglio Federale…
Non credo, no. Abbiamo tracciato una strada, c’è un importante ricambio generazionale che ci aspetta e che andrà affrontato in tempi piuttosto brevi. Noi continuiamo a muoverci in un ambito di autonomia che abbiamo sempre avuto e che non è mai venuta meno. Le critiche le leggiamo ma fanno parte del gioco.

 

C’è anche la vicenda dei vostri uffici, portati a Calvisano
Questa è un’altra cosa che tengo a sfatare. Lo scorso sabato ho fatto a Milano la mia dodicesima riunione da quando sono presidente del CNAR e nessuna finora è mai stata fatta a Calvisano. Leggo quello che viene scritto e non possiamo continuare a smentire tutto, quegli uffici ci sono ma se ci fosse solo una traccia di una riunione a Calvisano si troverebbe, ma non è mai successo. Noi arbitri generalmente gravitiamo tra Milano e Roma, a volte Bologna per trovarsi un una situazione un po’ più centrale dal punto di vista geografico, ma per me gli impegni istituzionali sono soprattutto a Roma allo Stadio Olimpico, quella è la sede, non Calvisano.

 

Il bilancio FIR 2013 ha chiuso in rosso per la prima volta. Questo ha comportato dei tagli anche al vostro budget? Alle diarie, gli osservatori…
Ci sono stati solo degli adeguamenti, è cambiato il metodo di rimborso. Abbiamo fatto molta attenzione al periodo contingente e abbiamo contribuito a limitare le spese. Prima c’era una nota spese con rimborso chilometrico, la diaria, il numero di pasti eccetera eccetera, ora invece c’è una cifra forfettaria, un gettone di presenza che l’arbitro deve gestire. Questo però con l’esclusione dell’Eccellenza e degli impegni internazionali, dove non è stato toccato nulla.

 

Chiudiamo con il “caso Falzone”. A che punto siamo? Non se ne parla più…
Il post-finale d’Eccellenza tra Calvisano e Rovigo è stato piuttosto caldo come ben sappiamo. Traversi ha terminato il suo periodo di interdizione, ora prenderà parte a un corso di aggiornamento al termine del quale dovrà sostenere e superare un esame. Da quel punto in poi sarà a disposizione della struttura arbitrale.
Per quanto riguarda Alan Falzone c’è un atto depositato in Procura Federale, stiamo aspettando che la giustizia FIR faccia il suo corso. Attendiamo. Bisogna ricordare che i due casi erano collegati alla finale dello scorso maggio ma erano di natura completamente diversa: per Traversi una reazione a caldo, sul campo, piuttosto esagitata, mentre nel caso di Falzone si parla di un commento pubblicato sui social network. Non esprimo giudizi sul contenuto ma credo che un arbitro debba sempre mantenere un comportamento di un certo tipo, deve essere sempre adeguato al ruolo. Se si verificano situazioni di questo genere non si può restare indifferenti.

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