Morisi, Campagnaro & co. A chi il testimone azzurro del dopo RWC?

Il Mondiale inglese segnerà la fine di un ciclo. I nostri giovani sono pronti per prendere il posto dei senatori?

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

“Dal capitano delle Zebre Marco Bortolami, con 110 caps l’Azzurro più presente di tutti i tempi, passando per altri veterani come i fratelli Bergamasco o il flanker trevigiano Alessandro Zanni, il derby di Guinness PRO12 tra Zebre Rugby e Benetton Treviso vedrà protagonisti, tra campo e panchina, ben ventisette atleti che hanno vestito in almeno un’occasione la maglia della Nazionale Italiana Rugby: quindici nelle Zebre, per un totale di 459 caps, dodici nella Benetton con 253 presenze internazionali”. Così recitava un comunicato FIR diffuso venerdì 2 gennaio, il giorno prima della partita del Monigo che ha sorriso – per la seconda volta nel giro di una settimana – alla squadra veneta.
Tanti azzurri in campo quindi, praticamente tutta la nazionale al netto dei vari McLean, Ghiraldini, Furno, Barbieri, Castro, Parisse e il resto della truppa che gioca all’estero.

 

Il comunicato sottolineava i nomi più noti, quelli dei giocatori più esperti, ma al Monigo sono scesi in campo parecchi giovani che con ogni probabilità costituiranno l’ossatura della nazionale che verrà, quella post-RWC 2015 e che guarderà al Mondiale in Giappone nel 2019. Qualche nome: Campagnaro, Esposito, Zanusso, Morisi, Fuser, Barbini, Bacchin, Odiete, Iannone, Sarto, Padovani, Palazzani, Fabiani. A questi aggiungiamo alcuni assenti al Monigo come Ferrarini, Bisegni, Visentin e Ragusi (e ci piace pensare che anche gente come Pasquali e Brugnara verrà presa in considerazione dal ct che sostituirà Brunel). Una lista in cui spiccano atleti che già fanno parte del gruppo azzurro e che prenderanno parte all’avventura iridata del prossimo settembre.
E cosa ci ha detto il campo? Che il gruppo nel suo complesso deve ancora crescere sotto tanti aspetti, soprattutto sotto quello dell’approccio e della tenuta mentale. Un giudizio questo che va ovviamente al di là della singola partita dello scorso fine settimana e che abbraccia un arco temporale più ampio. Campagnaro e Morisi, giusto per fare un paio di esempio, sembrano essere i più “formati” anche sotto questo punto di vista.

 

Sono giovani, si dirà, cresceranno. Indubbiamente. Ci pare però di non dire una cosa sbagliata quando sottolineamo il fatto che probabilmente questa generazione nel suo complesso sembra essere meno matura e preparata tecnicamente rispetto a quella di cui è chiamata a prendere il posto. Quella appunto dei Masi, dei Parisse, dei Castro e dei Bergamasco.
E verosimilmente dopo la fine della RWC assisteremo a un largo ricambio generazionale con tanti senatori che lasceranno il rugby internazionale quando non il rugby tout-court: Parisse ha detto che vuole giocare altri 2/3 anni, non ci stupiremmo perciò se dopo il Mondiale volesse dedicarsi solo al club per gestire al meglio le forze negli ultimi anni della sua carriera. Castro pare aver cambiato idea sulla nazionale e ha riaperto una porta, ma a fine ottobre avrà 34 anni. Stessa età anche per Masi.
La nostra speranza è chiaramente quella di essere smentiti dai fatti ma chi si trova anagraficamente più o meno a metà tra Padovani e Parisse – ovvero Minto, McLean, Favaro – dopo la RWC dovrà prendersi sulle spalle la leadership di un gruppo che avrà bisogno di tempo per ricostruirsi, e in cui il ruolo in campo e in spogliatoio dei “vecchietti” Ghiraldini e Zanni sarà fondamentale per rendere il passaggio di consegne il meno “traumatico” possibile. E non sarà per niente facile.

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