Il tecnico del Benetton e alcuni spunti interessanti sui problemi del movimento
Franchigie, la politica FIR, struttura dell’Eccellenza e del movimento, “produzione” dei giocatori e loro preparazione. Sono alcuni degli argomenti-cardine del nostro movimento rugbistico, di cui parliamo quotidianamente o quasi. Temi che affrontiamo sotto vari aspetti, spesso interpellando addetti ai lavori, tecnici, giocatori. Non sono però molte le volte che qualcuno riesce ad accendere una luce diversa, ma a volte capita. Ci siamo imbattuti – ad esempio – in una intervista che Marius Goosen ha rilasciato per il numero di AllRugby appena pubblicato e il tecnico in seconda del Benetton Treviso non si tira indietro, propone prospettive diverse e avanza riflessioni che tengono conto dei vari aspetti attraverso cui uno stesso argomento può essere letto. Una gran bella intervista.
Goosen è un sudafricano che ci conose benissimo, visto che ci frequenta da ormai 12 anni, non gli va di fare il tiro al piccione sui soliti bersagli facili e argomenta sia plausi che critiche. L’Eccellenza ad esempio, che definisce “non funzionale alle franchigie” ma tiene subito a precisare che “si tratta di un argomento molto complesso e trovo giusto che si abbiano idee diverse. La mia prevede un torneo a 6-8 squadre, non di più. Tutte con un’Accademie U18, per permettere di aggregare i giovani alla prima squadra. Parallelamente creare due franchigie U20, abituarle al confronto con l’Eccellenza, scontrarle fra loro, portarle spesso all’estero con i pari età. In questo modo gli U20 imparano a giocare nella massima serie sin da giovanissimi e, in caso di ottime qualità, sono già pronti per allenarsi con Benetton e Zebre”. Ovviamente porte più che aperte sul movimento su-giù dei giocatori tra franchigie ed Eccellenza.
Già, le franchigie: ” Quello che salta all’occhio – dice l’assistente di Umberto Casellato – e che viene criticato è che costano tanto. Ma stanno anche portando risultati. Il prolema non è dettato dall’attuale struttura delle due squadre del Pro12 ma dai giocatori che ne compongono il serbatoio. Quelli che arrivano hanno bisogno di un paio d’anni di ambientamento. E’ dura rendersi conto che un giocatore darà pronto solo alla terza, forse quarta stagione. Ma è la realtà odierna”.
Eppure per Goosen tutto sommato non siamo messi male, per nulla, e sottolinea il buon numero di trequarti su cui oggi può contare il ct azzurro Jacques Brunel. Ma qui arriva forse lo spunto più interessante di tutta l’intervista: “Il problema è davanti, dove per anni abbiamo vissuto di rendita. Qui entra in gioco un altro problema. Al livello di Pro12, ma anche di nazionale, puoi buttare in campo un trequarti non ancora pronto. Puoi, come dire, riuscire a nasconderlo. Con un avanti no. Se non sono pronti fisicamente i giocatori di mischia non possono reggere”.
L’intervistatore – Federico Meda – fa l’esempio di Zanusso, ma Goosen contrattacca prendendo la palla al balzo: “è arrivato e non era pronto, pensavamo di doverci lavorare almeno un anno. Invece sono bastati 3-4 mesi ed è venuto fuori, segno che gli italiani buoni ci sono ma che il livello da dove arrivano non è sufficiente. Zanusso per il tempo che ha impiegato ad adattarsi è una fantastica eccezione“.
Vi segnaliamo infine una riflessione sul ruolo degli stranieri nelle squadre italiane: “Non conta solo la qualità. Anche Dan Carter potrebbe non essere in grado di far la differenza. Perché lo straniero aiuti la squadra, serve che si integri. Imparando la lingua, vivendo la città, guidando il gruppo. Uno straniero forte non lo vedi solo nel week-end, è quasi più importante il suo lavoro durante la settimana”.
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