La Rugby World Cup che verrà, tra mercati saturi e nuovi orizzonti

Potrebbe aumentare ancora il numero di squadre. Molti i vantaggi economici, pochi quelli sportivi. E occhio ai pericoli…

ph. Henry Browne/Action Images

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Allargare (per la quarta volta) il numero di squadre partecipanti alla Coppa del Mondo? Possibile. Soprattutto se l’ipotesi arriva direttamente da Brett Gosper, numero uno di World Rugby. Il quale, in alcune dichiarazioni rilasciate alla BBC, ha parlato della possibilità di allargare il numero di squadre partecipanti ai Mondiali a partire dall’edizione 2023 (per cui l’Italia è tra l’altro candidata). L’obiettivo, manco a dirlo, è quello di aprire le porte a mercati ancora inesplorati o non del tutto sfruttati dal punto di vista ovale, quanto potenzialmente redditizi da quello economico. Su tutti, i nomi sono quelli di Cina, India, Messico, Germania, Russia e Stati Uniti
Del resto, i dati delle ultime edizioni della Rugby World Cup parlano chiaro. Rispetto all’edizione record del 2007, quella al via tra pochi mesi in Inghilterra avvicinerà senza superarlo il dato sul ticketing e sull’audience televisiva (2 milioni di biglietti venduti a fronte dei 2.2 di otto anni fa – 4 miliardi di telespettatori previsti a fronte dei 4.2 del 2007), mentre passerà di poco quello sul profitto complessivo (dai 170 milioni di Euro circa del 2007 ai 190 previsti per il 2015). A dimostrazione che probabilmente l’attuale il mercato di riferimento della Rugby World Cup è saturo dal punto di vista della popolarità, e in parte anche da quello commerciale. E forse proprio in questa ottica vanno lette sia la scelta di organizzare il Mondiale 2019 in Giappone, fuori dai confini tradizionali di Ovalia, sia le dichiarazioni di Gosper su un eventuale allargamento dei partecipanti.

 

Già tre volte i Mondiali hanno aumentato il numero di squadre e di conseguenza cambiato il proprio format, e non sarebbe quindi antistoric un’eventuale ulteriore modifica. Anzi. Avere più squadre al Mondiale significa del resto aumentare molti dei fattori attorno a cui si valutano la portata e l’impatto di un evento. Anzitutto, si creano maggiore competizione e maggior coinvolgimento in sede di qualificazione, quindi negli anni che precedono il kick off iridato. Più squadre significa poi più partite, più partite più biglietti ma soprattutto maggior costo dei diritti televisivi, più ore di trasmissione e più ricavi pubblicitari. E se i nuovi mercati si chiamano Russia e Cina, va da sé che le cifre record del 2007 possono essere spolverizzate.

 

Il problema si presenterebbe però dal punto di vista sportivo. Il divario tra le prime e le seconde della classe è ancora troppo alto, e introdurre nuove formazioni non può che accentuarlo. O meglio, dal punto di vista tecnico non aggiungerebbe niente, anzi darebbe occasioni per superare il 142-0 rifilato dall’Australia alla Namibia nel 2003. Non solo, una partecipazione al Mondiale va guadagnata sul campo, e tra i sei paesi indicati solo Stati Uniti e Russia hanno le potenzialità sportive per continuare a disputare il campionato iridate. Pensare di portare il Messico o la Cina alla RWC è impensabile almeno nei prossimi quarant’anni. A meno che non si prendano scorciatoie stile nazionale maschile di pallamano del Qatar, che dal nulla è arrivata seconda agli ultimi Mondiali con una squadra costituita da giocatori europei naturalizzati in fretta e furia. E di questi tempi e con questi regolamenti, è una deriva da cui cautelarsi.

Di Roberto Avesani

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