Sei Nazioni 2015: cosa ci lascia l’edizione pre-Mondiale del torneo più affascinante

A pochi mesi dal Mondiale c’è chi è pronto e chi ha imbroccato la strada giusta. E chi, come noi, bazzica ancora nel buio

ph. Lee Smith/Action Images

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Quindici partite, tre squadre in cima ad otto punti e un torneo deciso per una manciata di punti di differenza. Ma soprattutto un Sei Nazioni che, a pochi mesi dalla Rugby World Cup, ha dato tante indicazioni in vista proprio dei Mondiali. L’Irlanda che si conferma, l’Inghilterra molto maturata, il Galles sempre pericoloso, la Francia dai due volti, l’Italia mazziata all’Olimpico e la Scozia che a novembre ha seminato ma a marzo non ha raccolto.
E consentiteci il sarcasmo: torneo noioso, eh…

 

Irlanda: partita favorita, trionfatrice per una miglior differenza punti. Non era facile, ma Joe Schmidt ce l’ha fatta. Qui a Nord la sua squadra è ancora quella con più frecce a disposizione, quella che meglio sa variare ed adattare il proprio gioco, trovando soluzioni sempre coerenti ed efficaci. Sugli scudi il pack di mischia e la coppia in mediana Murray-Sexton, superbi nella vittoria contro l’Inghilterra. Una costante in tutto il torneo il piede tattico e la rete difensiva in salita, che hanno permesso ad O’Connell e compagni di vendere metà campo mettendo sotto enorme pressione la rimessa laterale avversaria. Serve l’intelligenza di uno stratega, ma anche la delicatezza degli interpreti. E in questo momento i verdi hanno entrambe queste componenti.

 

Inghilterra: bene, forse meglio del previsto. Lancaster ha in parte cambiato il modo di giocare, facendo di necessità virtù. Senza Manu Tuilagi in mezzo al campo la squadra ha saputo proporre un gioco molto vario e quel piano B che talvolta ha latitato si è visto. Benissimo Ford, uno che ha tutte le carte in regola per diventare tra i migliori dieci in circolazione, benissimo la coppia Burrell-Joseph in mezzo al campo. Sugli scudi poi il trangolo allargato, con Nowell e Brown che aspettavano solo l’ordine di contrattaccare tutto e tutti. Ma anche seconde e terze linee, e capitan Robshaw, che ha convertito l’enorme pressione della vigilia in energia positiva, a partire dall’ingresso in campo al Millennium con relativa discussione con la terna. Se Lancaster avesse trovato questi interpreti l’anno scorso, le chance mondiali sarebbero maggiori.

 

Galles: gli unici in grado di battere l’Irlanda, sconfitti solo da una perfetta Inghilterra nella prima del torneo. Gatland ha ritrovato le grandi prestazioni dei suoi interpreti più fidati e in Rhys Webb il giusto metronomo per coinvolgere gli altri quattordici cavalli di razza. Si è spesso parlato di un Galles ad una sola dimensione, per lo più verticale, ma a chi non piacerebbe buttare dentro da prima fase North, Cuthbert, Roberts o Davies? Bene poi i due Williams, Liam e Scott, capaci palla in mano di portare estro ed imprevedibilità.

 

Francia: quella dell’Olimpico o quella di Twickenham? Vero che quest’ultima ne ha prese 55, ma ha finalmente dimostrato un gioco propositivo, rischiando ma quantomeno provando. Poi certo, restano le amnesie difensive, le scelte poco coerenti e mal eseguite, la mancanza di leadership e di un gioco organizzato. Insomma, restano trenta buonissimi giocatori ma una squadra così così. Saint-André ha poco tempo e molti problemi, a partire dalle scelta del numero dieci. Per il nove c’è Parra, e da lì ancora non ci si muove. Tra i migliori Dusautoir, una garanzia, e Spedding, splendido interprete del suo ruolo. Quanto visto nell’ultima gara contro l’Inghilterra è un punto di partenza. Quello che a noi ancora manca.

 

Italia: la vittoria di Edimburgo non può bilanciare le brutte prestazioni contro Francia e Galles, e aggiungiamoci pure un’ora di gioco senza giocare contro l’Irlanda. Il tracollo contro i Dragoni ha riportato alla mente spettri che speravamo di aver dimenticato. Mentalmente siamo indietro, e ciò premesso è quasi inutile fare una disamina tecnica. Lasciamo sul campo punti sanguinosi dalla piazzola, dovremmo mettere insieme i nostri tre dieci per averne uno completo, per non parlare della cattiva gestione dei vari Castrogiovanni o Rizzo, o di Bacchin, cui è stato preferito in gruppo un centro di Eccellenza le prime due giornate per poi essere catapultato in campo. In questo momento non siamo forti, ma la cosa peggiore è che non siamo nemmeno tanto credibili. E senza credibilità è dura pretendere fiducia, a meno che non ci raccontiamo che le prestazioni in campo sono figlie di episodi occasionali e non risultato di dinamiche ben più complesse. Ma nello sport, specie quello professionistico, nulla accade invano. “Il pallone non entra mai per caso”, ha detto (e scritto) l’ex vice Presidente del Barcellona Ferran Soriano.

 

Scozia: la squadra arrivata ultima è quella che forse più aveva seminato a novembre, o meglio, quella con i migliori presupposti da mina vagante. I risultati non sono arrivati, ma contro Francia, Galles e Italia la sconfitta è stata a distanza di break e la prestazione di livello. Restano gli svarioni difensivi e l’incapacità di finalizzare in zona rossa. Ma restano pure le cariche di Denton, le corse di Bennett, i contrattacchi di Hogg e la buona impressione di Russell. E in generale l’impressione di una squadra che perde le partite ma mai la bussola.

 

Di Roberto Avesani 

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