Rugby e leggi: la sentenza Müller è una rivoluzione. O forse no

Un tribunale tedesco mette a soqquadro il panorama contrattuale? Lo abbiamo chiesto al fondatore di G.I.R.A., avvocato dello sport

ph. Carl Recine/Action Images

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Heinz Müller, Meinz, sentenza Bosman, rivoluzione. Nelle ultime ore queste parole si accompagnano spesso nei media di mezza Europa e non solo. I fatti: Ruth Lippa, giudice del lavoro tedesco, in una causa intentata dall’ex portiere del Meinz ha dato ragione a quest’ultimo. Cosa chiedeva il 36enne Heinz Müller? A giugno il suo contratto è scaduto e il club non lo ha rinnovato, lui ha portato la società in tribunale chiedendo di essere riconosciuto come un qualsiasi lavoratore: era alla società biancorossa dal 2009 e la legge tedesca dice che dopo due anni un dipendente può chiedere di essere stipendiato fino all’età pensionabile. Il giudice ha deciso che i calciatori sono come gli altri lavoratori e dato ragione al numero uno. Una sentenza potenzialmente rivoluzionaria, ma bisogna andarci cauti.

 

E’ questo il senso di quello che ci ha detto Federico D’Amelio, avvocato dello sport e anima nonché fondatore di G.I.R.A, Giocatori d’Italia Rugby Associati, l’associazione che raccoglie la quasi totalità degli atleti delle nostre due franchigie celtiche e moltissimi giocatori dell’Eccellenza: “Prima di dare una risposta circostanziata e precisa bisogna leggere la sentenza, posto che le dichiarazioni dei legali talvolta possono essere “mirate” – dice a OnRugby – ma una cosa a caldo si può commentare: siamo davanti ad un evidente sintomo di una malattia che potrebbe svilupparsi rapidamente. A livello europeo, infatti, non c’è uniformità nella disciplina del rapporto di lavoro sportivo e in certi Stati neppure c’è chiarezza tra i concetti di professionismo e dilettantismo. La legge deve essere più chiara. Dubito che possa esserci un effetto “a cascata”. O meglio, siamo di fronte ad una Sentenza (isolata) di un giudice del lavoro di un land tedesco, magari potrebbero esserci dei risvolti importanti in Germania dove, in effetti, la legge prevede che la durata di un contratto a tempo determinato debba essere di regola non superiore a due anni, dovendosi poi passare ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Allo stato quella sentenza non va ad influenzare le situazioni in Francia, in Italia o altrove. Certo, se e quando dovesse intervenire sul tema la Corte di Giustizia Europea allora le cose potrebbero cambiare, ma anche in tal caso le variabili sarebbero molte. Comunque un giudice, qualsiasi giudice, si pronuncia sempre su un caso specifico e concreto, sia pure richiamando principi di carattere generale, per cui non si può invocare un automatico effetto estensivo. Per questo dico che bisogna vedere le carte prima di dare un’opinione approfondita. Insomma, andiamoci molto cauti”.

 

“In ogni caso – dice l’avvocato D’Amelio – la sorpresa destata nell’opinione pubblica italiana dalla sentenza tedesca mi sembra quasi paradossale: in Italia abbiamo ottenuto varie sentenze che hanno qualificato in senso lavorativo il rapporto degli atleti dilettanti di vari sport, compreso il rugby. Anche la contribuzione previdenziale è stata ritenuta dovuta, per la felicità dell’INPS. Eppure tutti ignorano questi dati di fatto e di diritto…”.

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