Il sindacato dei giocatori prende posizione sulla proposta Gavazzi. E c’è il rischio di fare una riforma a metà
La questione “premi azzurri” fa discutere. E’ spinosa e foriera di conseguenze importanti per il futuro. Facciamo un passo indietro e riassumiamo: giovedì scorso il Presidente Federale Alfredo Gavazzi ha incontrato la stampa a Milano e tra le altre cose ha detto questo:
Capitolo pagamenti giocatori della nazionale: Non vorrei che le presenze dei giocatori fossero pagati a gettone. La FIR deve mantenere e anche aumentare i soldi finora accantonati per questa voce. Se la FIR già paga i giocatori con i contributi alle franchigie non vedo perché dare anche i gettoni. I premi devono essere legati a risultato, per il Mondiale – ad esempio – il premio ci sarebbe solo per il passaggio ai quarti.
Ripeto, non voglio risparmiare, oggi darei 60mila euro a testa circa per la qualificazione che nel complesso è la stessa cifra predisposta nel 2011 ma io non prevederei la parte del gettone che invece nell’ultimo Mondiale in Nuova Zelanda c’era. La FIR non ha mai speso così tanto per le franchigie come oggi, prima il gettone serviva a coprire una mancanza che oggi non c’è più, i giocatori sono pagati dalla federazioni per 11 mesi all’anno. Bisogna cambiare la mentalità, non sono io che sono sceso al 15° posto del ranking. La discussione è già iniziata, so che ci sono dubbi e mugugni ma credo che alla fine prevarrà il buonsenso. Ad ogni modo il contratto che era in essere è scaduto con la fine del Sei Nazioni, nelle prosime settimane troveremo un qualche accordo. Voglio giocatori, non pensionati.
A domanda precisa di questo sito il Presidente fa sapere che i contatti con i rappresentanti dei giocatori sono già in corso. Ieri il vice-presidente e legale di GIRA, ovvero il sindacato che rappresenta la quasi totalità dei nazionali, ha diffuso una nota nella quale si respinge sostanzialmente la proposta Gavazzi, sia nel modo che nel contenuto:
“Le modalità di approccio della FIR alle questioni che interessano i nazionali di rugby ci appare a dir poco inopportuna. E’ fin troppo facile soffiare sul fuoco dei risultati negativi dell’ultimo 6 Nazioni (contro Galles e Francia, n.d.r.) per cavalcare l’onda della presunta “meritocrazia”.
Tutta colpa dei giocatori, si allude da parte di qualcuno, se le cose vanno male, e non conseguenza di come è oggi strutturato il movimento (a partire dalla preparazione di tecnici e dei dirigenti, per continuare con il sistema delle Accademie, sino ad arrivare al livello non competitivo dell’Eccellenza).
(…) Non ci siamo, e, soprattutto, non ci stiamo.
E questo è solo l’incipt, l’intera nota la trovate in coda a questo articolo.
La situazione è quindi piuttosto caotica. Non semplice quantomeno. Il problema è che si tratta di una sorta di riforma a metà, e quella che si vuole realizzare è oltretutto la metà conclusiva. Ha senso pagare i premi a risultato e non a gettone? Certamente, in sé un’opzione non intrinsecamente migliore dell’altra, ma il pagamento del premio a risultato perché – come dice Gavazzi – “i giocatori di Benetton e Zebre li paghiamo già con i contributi FIR alle franchigie” presuppone una sorta di dual contract che oggi non esiste nei fatti.
La FIR paga i giocatori? No, lo fanno le due franchigie. Che poi lo facciano o meno con i soldi della federazione a oggi non conta un granché, altrimenti se ci fosse uno sponsor che versasse 4 milioni a Treviso e Zebre diremmo che i nazionali sono pagati dall’azienda X? No, non lo faremmo.
Da un punto di vista sostanziale il Presidente Federale ha ragione ma oggi i contratti siglati dai giocatori sono con le due entità celtiche. Gavazzi può inserire il pagamento dei premi a risultato ma non può prescindere da una sorta di contratto/accordo centralizzato tra federazione e atleti, quantomeno quelli che entrano nel giro azzurro. Con regole certe, scritte nere su bianco, che tengano conto anche per quei giocatori della Nazionale che militano in club esteri. Altrimenti il rischio di pasticciaccio all’italiana è fortissimo. E non possiamo permettercelo.
COMUNICAZIONE G.I.R.A. – Il punto di vista del vp Federico D’Amelio
Non ci siamo.
Le modalità di approccio della FIR alle questioni che interessano i nazionali di rugby ci appare a dir poco inopportuna.
E’ fin troppo facile soffiare sul fuoco dei risultati negativi dell’ultimo 6 Nazioni (contro Galles e Francia, n.d.r.) per cavalcare l’onda della presunta “meritocrazia”.
Tutta colpa dei giocatori, si allude da parte di qualcuno, se le cose vanno male, e non conseguenza di come è oggi strutturato il movimento (a partire dalla preparazione di tecnici e dei dirigenti, per continuare con il sistema delle Accademie, sino ad arrivare al livello non competitivo dell’Eccellenza).
Ad ogni modo, letti giornali ed i blog sembra trapelare dalle parole di Alfredo Gavazzi un verosimile intento: vincere il mondiale anche se si perde. Da che punto di vista? Quello economico, ovviamente (tutto il resto viene messo in secondo piano). Se la Nazionale perde sul campo, allora non si spendono denari e la colpa del fallimento sportivo sarà solo dei giocatori. Se la Nazionale vince sul campo allora si spendono denari (ma se ne guadagnano anche) ed il merito delle vittorie sarà riconducibile alla strategia federale dei “premi”.
Non ci siamo, e, soprattutto, non ci stiamo.
Ridurre tutto ad una questione di cifre, peraltro sbandierate ai quattro venti, magari per accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica contro i giocatori (pensionati?), è iniziativa da porre subito nel dimenticatoio.
Ma andiamo con ordine.
1) Innanzitutto non è affatto chiaro se le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Gavazzi siano delle pure esternazioni a titolo personale o se diano attuazione ad una determinazione/delibera del Consiglio Federale.
Nel primo caso si potrebbe anche soprassedere su certe “provocazioni”, vista la non ufficialità delle stesse. Nel secondo caso ci si troverebbe di fronte ad una nuova linea politica federale che, tuttavia, andrebbe ad inserirsi in un contesto confuso ed ibrido. Confuso, perché non si capisce se dirigenti e federali saranno anch’essi sottoposti ad un principio meritocratico (…), e quali modifiche del sistema si adotteranno per riadattare la struttura dell’alto livello. Ibrido, perché si vorrebbe dare un taglio “professionistico” ai rapporti tra Federazione e giocatori (richiamando le regole di altre Unions), senza tuttavia togliere la veste di “dilettanti” attribuita a questi ultimi.
Siamo alle solite: si vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Poi se in conti non tornano, colpa della moglie…
2) In secondo luogo, ci si ripete nel dire che mettere in piazza cifre e questioni contrattuali che riguardano i giocatori (e la loro sfera privata) non è edificante. E’ chiaro che in un periodo di crisi economica sentir parlare di certe somme, a fronte peraltro di risultati negativi, non può che fomentare una certa reazione di stizza nel pubblico. E infatti basta leggere alcuni commenti alle recenti pubblicazioni dei blog per vedere quanto bene stia riuscendo l’operazione-antipatia avviata dalla FIR. Quelli che fino a pochi giorni addietro avevano l’immagine di sportivi combattenti, rispettati dagli appassionati a prescindere dalla posizione raggiunta nel ranking mondiale dalla Nazionale, ora vengono presentati come giovani viziati o addirittura baby-pensionati. Complimenti per il marketing.
3) In terzo luogo le cd. “rivoluzioni” vanno preparate nel tempo e seguendo i corretti iter decisionali, non certo servite dall’alto in fretta e furia.
Si vuole abbracciare un sistema meritocratico? Va bene, ma allora bisogna rivedere tutto il complesso dei rapporti tra giocatori e FIR: garanzie assicurative, sfruttamento dei diritti d’immagine, diritti e doveri contrattuali, etc. Poi vengono anche i soldi.
In ogni caso la meritocrazia non può riguardare solo i giocatori: anche un presidente che sbaglia, o un tecnico non all’altezza, o un dirigente incapace, debbono rimettersi alla stessa logica, per una questione di equilibrio del sistema.
4) Da ultimo, parliamo di vile denaro. I ragazzi della nazionale – tra i vari impegni legati al mondiale – dovranno assentarsi da casa per circa tre mesi. Si vuole che lo facciano gratis, o meglio a rischio gratuità? Magari si, ma allora si dovrà prevedere la possibilità per i giocatori di rifiutare la chiamata in nazionale, per privilegiare altri impegni che loro, DILETTANTI, devono affrontare per mantenere le rispettive famiglie.
Si torna sempre allo stesso punto: se si pretende dai giocatori il professionismo, allora bisogna “trasformarli” in professionisti. Troppo facile appigliarsi al fatto che i rugbisti sono dilettanti quando si tratta dei loro diritti, e professionisti “di fatto” quando invece si passa a considerare i loro obblighi.
E poi: i compensi pagati dai club celtici debbono rientrare in un calderone unico con quelli pagati dalla nazionale? Non è escluso, ma allora intanto la FIR tiri fuori i soldi persi dai giocatori ex Aironi a causa del fallimento della società sportiva (sulla solidità economica e finanziaria della quale la FIR aveva un preciso obbligo di vigilanza attiva), quindi stabilisca come regolare i rapporti con i giocatori che militano all’estero (e non nelle franchigie italiane) e con i permit player, e via discorrendo.
In conclusione: le recenti sconfitte sul campo non debbono fungere da scusante per avviare una gestione della nazionale al risparmio. I giocatori sono pronti a confrontarsi, forti anche della collaborazione continuativa con IRPA, RPA, ed altre associazioni giocatori, ma nei tempi e nei modi consoni.
Federico D’Amelio, vice-presidente e legale dell’associazione
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