La NZRU fa sapere che non è previsto nessun cambio di policy dopo la decisione presa dall’Australia
La decisione della federazione australiana di dare una sterzata improvvisa e immadiata alla propria politica di convocazioni ha fatto molto rumore. Come è ormai noto la ARU ha deciso che d’ora in avanti saranno eleggibili per la nazionale anche i giocatori che militano in club lontani dalla madre patria purché abbiano già accumulato 60 caps e che nel loro passato possano vantare almeno 7 anni di contratti professionistici con la stessa federazione. Qualcuno l’ha chiamata la “legge Giteau” e in effetti il giocatore del Tolone sarà il primo e più importante giocatore a beneficiarne, ma sarebbe restrittitivo e limitante leggerla solo così. L’idea di base sembra essere in realtà molto pratica: far fronte al sempre più masiccio esodo di atleti di alto o altissimo livello verso i più ricchi lidi europei e giapponesi e al contempo trattenere i giocatori più giovani. Il tempo ci dirà se la cosa ha funzionato o meno.
Intanto dalla vicina, più o meno, Nuova Zelanda arriva la notizia che la NZRU non seguirà l’Australia su questa strada. A Radio Sport il boss Steve Tew ha detto che “analizziamo e rivediamo costantemente le nostre policy e non bisogna mai dire mai ma la nostra politica è chiara e se vuoi indossare la maglia degli All Blacks devi giocare in Nuova Zelanda. Abbiamo trattato alcuni giocatori con un po’ di flessìbilità in più, nel senso che una volta che torni in patria torno anche convocabile per la nazionale. Credo che la nostra policy sia adeguata e corretta e non ci sono intenzioni immediate di rivederla. Un cambio oggi creerebbe più problemi che altro”.
Grandi discussioni sono in corso anche in Inghilterra, dove esiste una identica policy di eleggibilità per la nazionale e dove le convocazioni di Steffon Armitage o Nick Abendanon (che oggi giocano in Francia) sono all’ordine del giorno del dibattito mediatico da settimane, mesi in alcuni casi. Ma finora nessuna posizione ufficiale è stata presa.
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