Marco Bortolami intervista in esclusiva per OnRugby il grande coach
È conosciuto come uno degli allenatori più preparati e competenti nel panorama internazionale. Dall’Australia alla Premiership, dal Sudafrica al Giappone non ha mai smesso di innovare e migliorare, non solo il gioco del rugby, ma tutta l’organizzazione che sta fuori dal campo. Eddie Jones è stato l’allenatore dei Brumbies all’epoca del loro primo titolo del Super Rugby, è stato capo allenatore dell’Australia nel 2003 che si è vista negare la vittoria solo dal famoso drop di Jonny Wilkinson ed è stato Campione del Mondo nel 2007 con il Sud Africa.
Chi lo conosce da vicino lo descrive come una persona estremamente calma e misurata forte di una competenza e di una capacità di mettere in discussione lo status quo al solo fine di migliorarsi costantemente.
Eddie, tu hai una straordinaria esperienza nella Coppa del Mondo prima con l’Australia e poi con il Sudafrica, quali pensi siano le tre componenti più importanti per un team che punta a vincerla?
La prima componente è l’esperienza, una squadra che voglia vincere la Coppa del Mondo deve avere una somma di caps che raggiunga almeno le 600/800 presenze a livello internazionale dei suoi giocatori.
La seconda, da un punto di vista più tecnico, è avere delle ottime fasi statiche di conquista. Ancora oggi mischia chiusa e rimessa laterale sono due componenti imprescindibili per raggiungere il successo.
La terza è la leadership. Una squadra deve avere la capacità di reggere ai momenti di massima pressione prendendo le decisioni giuste ed eseguendo i gesti tecnici alla perfezione.
Per rendere un team Campione del Mondo il capo allenatore deve migliorare ogni aspetto del gioco e dell’organizzazione di squadra, come hai affrontato il conflitto con le persone che non erano disposte a cambiare?
Alla Coppa del Mondo è importantissimo che ogni individuo sia straordinariamente motivato e che voglia lavorare all’unisono con gli altri. Gli anni che precedono il mondiale servono per capire chi dei giocatori e dello staff non è in grado di funzionare all’interno del gruppo.
Hai lavorato in molti paesi diversi, quanto importante è conoscere la cultura di un team e perché questa influenza così tanto la prestazione sul campo?
La cultura di un paese detta il modo di conoscere e apprendere, determina l’attitudine e lo stile di gioco che una squadra esprime. Per esempio i giocatori sudafricani hanno una propensione a difendere che li esalta in questa fase del gioco, mentre quelli australiani sono più spregiudicati e amano esprimersi di più offensivamente. Capire queste differenze aiuta a calibrare lo stile di gioco da improntare per esaltare le qualità esistenti.
Molte volte si crede che una squadra debba ottenere dei risultati prima di raggiungere un’organizzazione di lavoro più professionale, perché questa tendenza è sbagliata?
La coesione è fondamentale per ottenere risultati. Ogni componente deve essere sulla stessa lunghezza d’onda che si tratti di allenatori, giocatori o dirigenti. E’ fondamentale darsi tutte le opportunità e tutte le risorse per migliorare.
Quanto importanti sono gli individui in un sistema di leadership collaborativa e come riesci a coinvolgere tutti anche se hanno personalità molto forti?
La qualità individuale e la personalità sono componenti importantissime per il successo. E’ fondamentale stabilire per ogni individuo il suo ruolo con chiarezza in modo da massimizzare le sue qualità di persona e di leader.
Perché la personalità di un atleta è tanto importante quanto il suo talento e che impatto può avere in una competizione come la Coppa del Mondo?
La Coppa del Mondo è una situazione in cui lo stress e la pressione non hanno eguali. Queste componenti amplificano i difetti caratteriali di ogni individuo. Saper riconoscere quegli atleti che hanno le caratteristiche giuste per esprimersi in queste condizioni è cruciale: la brillantezza individuale non fa vincere un mondiale, il talento di squadra si!
Perché cambiare è una componente fondamentale per ogni team di successo?
Bisogna sforzarsi sempre di cambiare e adattarsi anche se si è al massimo di ciò che si sta facendo. Nulla nella vita, come nello sport, è statico. In Giappone si parla di Kaizen – miglioramento continuo – questo è essenziale perché se non ti stai muovendo in avanti stai andando indietro…
Il rugby da test match è basato su occupazione territoriale e difesa più che attacco, che stile di rugby vedremo alla Coppa del Mondo in Giappone nel 2019?
Le difese per il momento sono molto organizzate e dominanti, ma ci sono segnali positivi per un rugby più votato all’attacco. Se la tendenza che gli arbitri hanno ad avvantaggiare leggermente nell’area di breakdown la squadra in attacco, penso che per il 2019 vedremo un rugby più propenso alla fase offensiva di quello odierno.
In Italia ci sono due squadre professioniste che militano nella Celtic League ma il resto dei club è semi-professionale, pensi che sia sufficiente per un miglioramento e successo futuro, o avere un approccio professionale da parte di tutti i club potrebbe aiutare la crescita?
La professionalità è attitudine, le due squadre che partecipano alla Celtic League devono operare con gli stessi standard della Nazionale e di riflesso tutto il movimento. Questo primo step è ottenibile fin da subito, ma è un discorso di attitudine e non di denaro.
I più grandi ostacoli per una squadra al raggiungimento di vittorie e successo sono mancanza di etica del lavoro, determinazione e fiducia nell’ottenere il risultato e chiara comprensione di ciò che si vuole fare. La disponibilità finanziaria credo sia solo un problema marginale.
Chi vincerà la prossima Coppa del Mondo e perché?
Credo che la prossima Coppa del Mondo sarà vinta di nuovo dalla Nuova Zelanda, ma con pochissimo margine. Sono una squadra con una coesione totale e una grandissima convinzione nei propri mezzi, l’unico punto debole è che sono un team che sta invecchiando…!
di Marco Bortolami
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