L’audace Wallabie di origini italiane, un campione dalle doti straordinarie
Nome: David Ian
Cognome: Campese
Ruolo: Ala
Edizioni RWC disputate: 1987- 1991 – 1995
Presenze RWC: 15
Punti RWC: 40
Tutti noi abbiamo visto almeno una volta l’haka. Qualcuno in meno ha avuto la fortuna di vederla dal vivo. Ancora meno possono dire di essere stati in campo e averla fronteggiata. Ma che sono arrivati a ignorarla totalmente durante il suo svolgimento, beh sono davvero pochi e con alterne fortune.
Dublino, 27 ottobre 1991, Lansdowne Road Stadium, semifinale della seconda edizione della RWC. Il giorno precedente l’Inghilterra aveva superato la Scozia qualificandosi alla prima finale della sua storia; in Irlanda, Australia e Nuova Zelanda si scontrano per guadagnarsi i Wallabies la prima chance di portarsi a casa la Webb Ellis Cup, i secondi l’opportunità di mantenere il tetto del mondo.
Nella prima sfida tra le due compagini australi su un campo neutro, il pubblico sulle tribune ha già scelto i propri beniamini. Gli irlandesi sono tutti per gli Aussie, che pur avendo battuto i padroni di casa nel quarto di finale, hanno conquistato il cuore rugbistico della nazione del trifoglio.
Tutto è pronto per il match, le due squadre una di fronte all’altra, i neozelandesi si preparano e iniziano la loro tradizionale danza maori. Gli australiani che abbracciati li fronteggiano sono però solo 14. Dietro i pali, totalmente incurante di ciò che avviene a centrocampo, c’è David Campese, uno dei giocatori più importanti della squadra della terra dei canguri.
David Campese è un giocatore molto particolare, tanto forte quanto sfacciato, tanto decisivo quanto avventato. Di esperienza ne ha molta, ha iniziato la sua carriera internazionale 9 anni prima, rifilando ben due mete proprio agli All Blacks. “Campo” decide di continuare a provare i calci mentre i neozelandesi lanciano il guanto di sfida sotto forma della tradizionale Ka Mate. Una scelta rischiosa, come gli Azzurri hanno provato sulla propria pelle qualche anno dopo.
Per l’ala australiana però le cose vanno diversamente: sono già 5 le segnature messe a referto durante il resto del Torneo e la sesta meta arriva dopo solo 12 minuti di gioco. Campese prende palla dentro le 22 avversarie, a circa metà del campo, e inizia una corsa in diagonale che sembra inizialmente innocua. La difesa tuttanera è però stretta e, per cercare di allargarsi e coprire il campo, John Kirwan volta la schiena all’attacco australiano. Campese non si fa pregare e accelerando riesce a sfruttare l’indecisione difensiva e schiacciare l’ovale in meta.
Passano altri 23 minuti e l’ala è ancora protagonista. Lynagh da centro campo piazza un chip dietro la difesa neozelandese. Campese in velocità recupera il pallone e rompe il tentativo di placcaggio di Kieran Crowley. John Timu, numero 11 All Black e dirimpettaio dell’ala australiana, rientra e fronteggia Campo che, con un cambio di passo lo sbilancia, senza però batterlo del tutto. Nel frattempo rientra anche Graeme Bachop che chiude ogni possibile strada all’australiano.
Chiunque ha giocato sa che in situazioni del genere l’istinto prende il sopravvento: sei un pilone, una seconda linea? Testa bassa e via andare. Sei un centro veloce e potente? Punti uno dei due giocatori e tenti di rompere il placcaggio. Sei un’ala agile e scattante? Tenti un cambio di passo repentino per evitare il placcaggio. Sei David Campese? Provi la cosa più inaspettata, più pericolosa e, in fin dei conti, giusta: passo laterale verso il numero 9 tuttonero, passaggio all’indietro sopra la spalla destra, senza guardare, per l’accorrente Tim Horan, difesa spiazzata e pallone schiacciato dietro la linea di meta.
Nel tempio di Twickenham, contro i padroni di casa dell’Inghilterra, i Wallabies vinsero il match 16 a 6 e conquistarono la loro prima Webb Ellis Cup. Campese non segnò in finale, ma aveva già lasciato un segno indelebile nella RWC 1991, ricevendo anche il riconoscimento di miglior giocatore del Torneo.
Se Guido Meda fosse stato un commentatore rugbistico nel 1991 avrebbe probabilmente definito quell’azzardo un “passaggio da straccio di licenza”, ma si sa, genio e sregolatezza vanno spesso insieme. Se fosse un gesto accuratamente pensato oppure un tentativo disperato andato a buon fine non è dato saperlo, anche se Campo più tardi negli anni asserì di aver visto Horan con la coda dell’occhio.
A noi che il gesto fosse premeditato o meno poco importa, quello che conta sono le emozioni che David Ian Campese (il Wallabie di origini italiane) ha fatto vivere e continua a far vivere a tutti gli appassionati di rugby, indipendentemente dalla nazionalità. A volte individualista, audace, presuntuoso almeno quanto talentuoso, polemico, avventato, provocatore; nel nostro cuore, semplicemente un campione.
Matteo Zardini
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