Si dice che non tutto il male viene per nuocere. E allora perché non approfittare di questa situazione per “ripensarci”?
Uno degli appuntamenti fissi del lunedì, almeno per chi scrive, è la lettura della rubrica “Mischia aperta” del Gazzettino, a firma di Antonio Liviero. Nel numero di due giorni fa si parlava di Pro12, della possibile esclusione delle squadre italiane e dell’eventuale ingresso di London Welsh e London Scottish a sostituirle. L’articolo si concludeva così: “Insomma, in cinque anni la Celtic, per varie ragioni, ha dato al rugby italiano meno del previsto. Per contro neppure in Galles e Scozia, e ora addirittura nella vittoriosa Irlanda, fanno i salti di gioia. E la sostituzione delle squadre italiane con London Scottish e London Welsh, ventilata all’estero, non cambierebbe certo la sostanza delle cose per i nostri partner. Forse è la formula della competizione che andrebbe ripensata, mentre l’Italia farebbe meglio invece a ripensare a fondo il senso della propria presenza”.
L’altro giorno, forse proprio lunedì, un amico dell’estensore di questo articolo faceva un ragionamento non molto diverso: “Basterebbe prendere un foglio – diceva – scrivere da una parte i pro e dall’altra i contro della nostra partecipazione al Pro12. Credo che la risposta non possa essere che una”.
Cosa ha portato l’avventura celtica al rugby italiano? Chi dice poco o nulla mente sapendo di mentire. Benefici ce ne sono stati, innegabilmente: una consapevolezza mentale maggiore, una certa abitudine a giocare a certi ritmi, nel complesso ha migliorato la tenuta fisica dei giocatori. Certo anche in questi ultimi anni, per non dire mesi, passaggi a vuoto sotto l’aspetto della resistenza fisica non sono mancati, però cerchiamo di essere onesti: fino al 2009 o al 2010 le gare del nostro Sei Nazioni duravano tra i 40 e i 60 minuti, poi era apnea. Ora le cose sono oggettivamente migliori sotto quell’aspetto.
I risultati tecnico/agonistici non sono stati invece all’altezza. Nessuno si aspettava di arrivare e vincere qualcosa subito, ma in 5 anni la crescita è stata molto limitata nel complesso, anche se poi bisognerebbe analizzare l’andamento delle singole squadre, ovvero Aironi/Zebre e Benetton Treviso. Il fatto è che non si trova un percorso di crescita in qualche modo coerente, anche se inframmezzato da qualche stop e ripartenza. Il Connacht, per esempio, lo sta facendo. Il Benetton l’ha fatto fino a un paio di stagioni fa, dalle Zebre ci si aspettava un passo avavnti e ne hanno fatto (almeno) uno indietro.
Nonostante questo – lo ripetiamo – nessuno nega che il Pro12 abbia portato dei benefici, ma la domanda alla fine è solo una: i benefici ottenuti sono correllati o anche solo vagamente proporzionali all’impegno profuso? E la risposta è solo una: no. Su questo non crediamo ci possa essere grande discussione.
Sono state spese alcune decine di milioni di euro, abbiamo affossato il nostro domestic senza riuscire a spiccare un qualche salto vero nel torneo celtico. E stiamo parlando di 5 anni, non di un paio di stagioni.
Oggi il Pro12 è instabile perché è instabile un po’ tutta la nostra struttura: chi arriva da sotto non ha la formazione e/o l’esperienza per poter portare risultati nel breve/medio termine. Non ha quella formazione e quell’esperienza perché non può averla, perché l’Eccellenza non può fornirla.Le eccezioni si contano sulle dita di una mano. E sono appunto eccezioni. Siamo troppo deboli sotto per poter essere stabili sopra. E il risultato è che il nostro movimento non è migliorato nel suo complesso rispetto a qualche anno fa, ha forse fatto passi indietro.
E il dubbio non può non venire: se quegli investimenti milionari fossero stati fatti in un piano pluriennale a medio-lungo termine sull’Eccellenza oggi che fotografia potremmo scattare? Migliore? E’ complicato dirlo e nessuno ha la verità in tasca.
Forse però inizieremmo a vedere basi più solide per la nostra piramide oggi così instabile. Basi oltretutto più larghe da un punto di vista quantitativo sia per quanto riguarda i giocatori che i tecnici e i dirigenti. Una crescita inevitabilmente non velocissima, ma costante e più resistente, temprata.
Attenzione, qui non si stanno chiedendo investimenti a pioggia e a fondo perduto. Tutto il contrario. Serve un piano, un progetto nel quale i meritevoli vengano premiati.
Ci piacerebbe che sul tavolo venissero messi un po’ tutti gli aspetti della partecipazione a un torneo come quello celtico. Non crediamo che nel board celtico ci sia la reale volontà di metterci alla porta ma l’impressione è quella di trovarci un po’ tutti – noi e “loro”, i nostri partner britannici- in un gioco che non fa davvero felici nessuno e che viene portato avanti quasi per inerzia, perché ormai quella ruota sta girando in quel senso e bisogna seguire la direzione.
Ma forse non è così. Forse questa crisi (che probabilmente si concluderà a tarallucci e vino) legata al pagamento di una tassa ingiusta può essere il momento di pensare in maniera un po’ fredda e distaccata alla nostra avventura celtica. Per decidere cosa vogliamo fare da grandi e iniziare a muoverci per tempo, quale che sia la strada che prenderemo. Che una cosa è sicura: la base su cui poggia il nostro Pro12 va rinsaldata e di parecchio. Allora, questa palla la cogliamo al balzo oppure no?
Il Grillotalpa
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