La sua dedizione, la sua generosità, il suo dare tutto senza risparmiarsi: quando il rugby è come l’amore
Nome: Serge
Cognome: Blanco
Ruolo: Estremo
Edizioni RWC disputate: 1987-1991
Presenze RWC: 9
Punti RWC: 16
Molti di noi appassionati di rugby spesso ci facciamo emozionare dai momenti che solo questo sport sa dare. Momenti non solo sportivi, ma in un certo senso romantici, carichi di tradizione e di pathos. Storie simili a Davide contro Golia, storie di giocatori eccezionali, che, al di là di dimensioni e forza fisica, hanno rapito il cuore dei tifosi di tutto il mondo. Giocatori che hanno fatto del talento cristallino il loro marchio di fabbrica, anche a discapito di comportamenti che oggi fanno parte della routine di un professionista in qualunque parte del globo terracqueo rugbistico.
Serge Blanco è sicuramente uno di questi giocatori. Nato anagraficamente in Venezuela, cresce rugbisticamente nella splendida Biarritz, dove lavora anche come meccanico in un’azienda aereonautica. Si perché Serge, fin da subito protagonista in campo, indossa per la prima volta la maglia dei galletti nel 1980, ben prima dell’avvento del professionismo. Erano tempi in cui la preparazione fisica non era sicuramente quella di oggi, dove anche un fumatore incallito come lui poteva fare la differenza in partita per poi finire a bordo campo e accendere la prima sigaretta del secondo pacchetto di giornata.
La prima edizione della RWC, quella del 1987, per molti giocatori dell’emisfero nord era poco più di una vacanza, per qualcuno l’unica possibilità per andare dall’altra parte del mondo, nella terra dei canguri e dei kiwis. Insomma l’importante era esserci, anche se la vittoria finale sembrava una cosa a due tra le nazioni che co-ospitavano il Mondiale, Australia e Nuova Zelanda.
13 giugno 1987, al Concord Oval di Sidney va in scena la semifinale che vede fronteggiarsi i padroni di casa contro la Francia. I Wallabies erano i favoriti, la Francia era arrivata in semifinale dopo aver pareggiato con la Scozia e vinto con Romania e Zimbabwe nella fase a gironi, mentre nei quarti aveva superato per 31 a 14 le Fiji.
La partita, al di là delle previsioni, è combattutissima: alla fine del primo tempo i giocatori in maglia gialla conducono per 9 a 6, due punizioni e un drop per i canguri, meta di Lorieux per i galletti. Nel secondo tempo altre due mete per parte e si arriva al 21 pari. 76esimo, punizione per i piedi di Lynagh, la palla centra i pali e i tifosi tirano un sospiro di sollievo. Troppo presto però, a 1 minuto dal termine è Camberabero a superare la traversa e riportare in parità i Blues. La tensione è altissima, sia in campo sia fuori; le squadre sono stanche, le truppe cercano le ultime energie per vincere la battaglia.
Tempo ormai scaduto, rimessa laterale per i padroni di casa all’interno dei 22 francesi: Lawton lancia, Cutler recupera, lo stadio a gran voce spinge i propri beniamini alla conquista della finalissima. La palla scappa fuori dal raggruppamento, Nick Farr-Jones la fa propria e in tuffo lancia verso Campese, tentativo di avanzamento, ma la difesa francese è più veloce e Campo non va da nessuna parte. Ancora un paio di passaggi, ma gli australiani non avanzano, l’ovale cade e nasce una ruck furiosa, con moltissimi giocatori di entrambe le formazioni a spingere per contendere quella che probabilmente sarà l’ultima palla giocabile prima della fine del tempo regolamentare.
L’ovale esce, ma dall’altra parte: Pierre Berbizier passa a Blanco che, a sua volta, passa in malo modo a Patrice Laguisquet il quale, però, raccoglie e calcia via lontano, verso i 22 australiani. Arriva ancora Campese che però pasticcia, la palla continua a rimbalzare a terra, dall’altra parte sopraggiunge Lorieux che si scontra con l’ala australiana e rimane a terra. L’ovale però è ancora vivo ed è raccolto proprio dai galletti che se lo rimpallano con una serie di passaggi che farebbero rabbrividire qualunque purista del “non buttiamo via la palla”. Charvet finalmente decide di accelerare ed entra nelle 22 australiane dove viene fermato; Berbizier sventaglia a sinistra, dove la difesa wallabies sta cercando di riorganizzarsi: Legisquet taglia in diagonale, evita un placcaggio e si infila in mezzo a tre avversari, placcato finisce a terra non prima di essersi liberato del pallone che volteggia a mezz’aria. Un giocatore australiano lo sfiora, ma non riesce a prenderne il possesso, la palla viene toccata di piede da Laurent Rodriguez che riesce a controllarla e a scorgere lui, Serge Blanco, che riceve il passaggio e quasi da fermo accende il turbo e punta la bandierina.
Erano in tre gli australiani alla sua caccia, la linea di touche a un passo. Una vistosa fasciatura bianca circondava la gamba destra dell’estremo francese, un problema alla coscia che lo tormentava, ma da vero campione non molla. La linea di meta è li, l’intero corpo è proteso in avanti, sembra quasi che a ogni passo rischi di cadere faccia a terra. Infine il tuffo, la bandierina che salta, la palla che tocca il terreno, proprio li, in quell’angolo delimitato da due righe bianche che vale più di ogni altro pezzo di terra al mondo per Serge Blanco e tutto il resto della sua squadra.
60 secondi di gioco continuo e ad alta intensità: normalità ai giorni nostri, qualcosa di incredibile nel 1987. E Serge, nonostante le innumerevoli sigarette fumate ogni giorno, era li, pronto a scattare e segnare la meta che ha fatto impazzire due nazioni: di gioia la Francia, di disperazione l’Australia che già si vedeva ad Auckland a sfidare gli All Blacks per mettere per primi nella storia il nome sulla Webb Ellis Cup.
Dei 17.768 presenti sulle tribune dello stadio, in 17.745 ammutolirono. Erano solo 23 i tifosi francesi che avevano viaggiato fino agli antipodi per sostenere la propria squadra, e il loro grido si unì a quello dei 15 in campo e dei 6 in panchina, superando con la propria voce, nonostante il numero pressoché ridicolo, la delusione dei supporter di casa.
Michael Lynagh, autore di 16 dei 24 punti dei Wallabies, ricorda l’atmosfera irreale, il silenzio assoluto che regnava nello spogliatoio. Tristezza e sconforto la facevano da padroni e nemmeno i tentativi dell’allenatore Alan Jones di tirare su il morale ottennero qualche effetto. Nemmeno Campese, di solito il più istrione dei suoi, aveva voglia di scherzare o alleggerire la situazione.
La Francia andrà a giocare la finale del primo Mondiale in casa degli implacabili All Blacks. Grazie a una meta di Serge Blanco (che è un grande esempio di coralità, finalizzata dall’abilità e dalla velocità di un vero campione) hanno la possibilità di scrivere un pezzo di storia. I Blues non riusciranno a sovvertire il pronostico e i neozelandesi alzeranno la tanto agognata coppa, ma i galletti avevano già vinto, solo arrivare in finale era una grandissima conquista.
Avevamo aperto parlando di emozioni, ma anche di romanticismo: se oggi chiedete a Serge Blanco, ora affermato business man e uomo chiave del rugby d’oltralpe, il proprio ricordo più bello della spedizione mondiale francese dell’87, avrete una mezza delusione. No, non si tratta della meta agli australiani, o di quella della finale di Auckland.
A Takapuna, piccola cittadina a nord di Auckland, i francesi avevano il proprio quartier generale all’hotel Mon Desir. Qui, il 21 giugno 1987, il giorno dopo la finalissima, si ritrovarono i giocatori francesi e gli All Blacks accompagnati da mogli e bambini, per festeggiare, mangiare e bere tutti insieme. Questo è il ricordo più forte del Pelè del rugby, questo ciò che più è rimasto nel cuore al francese di origine venezuelana.
Forse non era l’atleta perfetto, forse con il professionismo non sarebbe nemmeno arrivato dove è arrivato, forse le sue abitudini erano poco adatte a un giocatore di livello mondiale; quello che però lo ha reso immortale agli occhi dei tifosi del Biarritz, squadra in cui ha militato dall’inizio alla fine della carriera, a quelli francesi e a tutti gli appassionati di rugby è il suo cuore, la sua dedizione, il suo vedere il rugby come generosità, come dare tutto senza risparmiarsi, come ben riassunto nella sua più famosa citazione: “Il Rugby è come l’amore. Devi dare prima di prendere. Quando hai la palla è come fare l’amore. Devi pensare al piacere dell’altro prima che al tuo.”.
Matteo Zardini
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