Il colosso dello sport mondiale sempre più interessato al rugby in Italia. Abbiamo intervistato l’uomo che ci sta lavorando
Qualcosa si muove nell’economia del rugby italiano, anche se per il momento sono piccoli segnali. La FIR, come annunciato da tempo, ha già chiuso la cessione dei diritti tv dei test-match per l’estero. A breve verrà annunciata l’apertura di “Casa Italia” in Inghilterra durante la Coppa del Mondo 2015, frutto di un accordo con Alphaomega group e di una relazione attivata con la FIR già da circa un anno con Infront, gruppo leader nel mondo del marketing sportivo.
Danilo Di Tota è consulente di Infront ed ha un passato da giocatore di rugby, partendo da Napoli e dalla trafila delle selezioni nazionali giovanili, passando per Piacenza, Brescia, e arrivando anche in Australia a Sydney, nell’ultimo periodo da giocatore, che l’ha pure lanciato nel mondo del marketing sportivo: “Per me è anche una questione di cuore, ma per Infront il rugby rappresenta una nuova sfida e un mondo che in Italia ha un enorme potenziale e che quindi potrebbe rappresentare un ottimo investimento, sempre pensando ad un rugby di alto livello”.
Il rugby italiano è un “case history” da studiare nell’ambito del marketing sportivo. Come si può spiegare il successo di sponsorizzazioni e di interesse del pubblico per la nostra nazionale?
“L’idea di legare il successo esclusivamente alla vittoria è solo italiana. Il rugby è il primo sport che da noi ha superato questo concetto, grazie al fatto che i valori che diffonde sono diventati di moda. Infatti le partite del Sei Nazioni sono passate da essere evento per gli appassionati a evento di moda. Contrariamente a quanto si possa pensare, il fenomeno, dal punto di vista commerciale, ha ancora ampi spazi di crescita. La Federazione ha un budget di circa quaranta milioni di euro, ma siamo convinti che quel budget possa essere triplicato con un progetto a medio termine”.
E’ davvero credibile come obiettivo FIR un budget da 100-120 milioni di euro?
“Il potenziale c’è tutto, stando alle analisi che abbiamo fatto. Certo dovrebbero cambiare molte cose ad iniziare da un approccio differente al marketing. La FIR non deve essere solo il soggetto cui è demandata l’organizzazione tecnica del movimento, ma anche il soggetto in grado di creare nuovi prodotti. Il brand FIR nel suo complesso, fatto dalle Nazionali, dai campionati e dalla formazione dei giovani, deve essere pensato come un prodotto commerciale carico di appeal per attirare media e aziende. E’ ora che la federazione pensi di affidarsi ad un advisor come hanno fatto FIGC, FIP, Milan, Inter, Paris Saint Germain e Chelsea, entrando così, oltre che nel Sei Nazioni, nel mondo dello sport che conta veramente, per raggiungere traguardi importanti. In Italia l’esperienza e la competenza per fare questo salto ce l’hanno società come Alphaomega e Infront”.
Il valore della Nazionale è facile da intuire, ma in questo momento è difficile pensare ad uno sviluppo degli altri settori. In Celtic League siamo soci che devono pagare una tassa d’ingresso. Come si dovrebbe fare?
“La FIR dovrebbe diventare un centro servizi a supporto delle società. Questo è il punto di partenza, poi per un campionato come quello celtico, sono vitali le grandi città italiane, altrimenti bisogna sperare sempre in grandi magnati innamorati del nostro sport. Servono grandi bacini d’utenza che possono offrire città come Milano e Roma oppure riuscire a spezzare le divisioni campanilistiche di una terra tanto fertile per il rugby italiano come il Veneto. In questo modo si potrebbe davvero puntare in alto e un gruppo come Infront è interessato all’alto livello”.
Le nostre franchigie sono arrivate ultima e penultima nell’ultimo campionato. C’è un problema di competitività.
“Non ho risposte tecniche, ma certo credo che si debbano creare i presupposti economici per poter competere. Contemporaneamente spetta ai tecnici di segnale la strada migliore per la crescita dei nostri giocatori e delle nostre squadre”.
La FIR ha investito molto nelle Accademie. E’ questa la strada?
“Dal punto di vista commerciale, le Accademie sono un fantastico contenitore. Un prodotto che può attirare nuove risorse, sia seguendo la strada dei finanziamenti europei che quella dell’interesse di grandi gruppi, particolarmente interessati ad investimenti di responsabilità sociale. Aver un luogo dove i giovani possono fare sport con l’obiettivo l’alto livello e continuare a studiare è fantastico. Forse bisognerebbe rinforzare il legame che le accademie potrebbero avere con il territorio”.
C’è una ricetta per rilanciare il campionato d’Eccellenza?
“In un mondo ideale, sarebbe bello poter contare su città che hanno tradizioni rugbistiche, ma che sono poi un po’ decadute. Dico, Catania, Napoli, Genova, Firenze oltre a Roma e Milano. Per l’Eccellenza si potrebbe lavorare su sponsorizzazioni di nicchia e legate al territorio, sfruttando le nuove tecnologie di distribuzione. Penso, ad esempio, a una tv in streaming e ricreare anche attorno alle partite di club il senso dell’evento, come abbiamo visto fare con successo sia in Francia sia in Inghilterra. I club sono strategici per il legame con il territorio e probabilmente potrebbero diventare la casa ideale per la formazione dei giovani, a patto che sappiano strutturarsi e, con l’aiuto della federazione, formare nuovi dirigenti capaci di gestire il nuovo prodotto”.
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