Permit, giocatori “complici” e gestione delle (tre) aperture: il rugby di Gianluca Guidi

A dieci giorni dal via della prossima stagione celtica, abbiamo intervistato il nuovo tecnico delle Zebre

ph. Zebre Rugby

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Livornese classe 1968 e un passato da giocatore che lo ha portato anche a collezionare 5 caps con l’Italia tra il 1996 e il 1997, Gianluca Guidi è approdato questa stagione sulla panchina delle Zebre con il ruolo di head coach. Il tecnico ha già guidato diverse selezioni nazionali azzurre, dall’Under 19 all’Under 20 passando per la Emergenti, mentre nelle ultime due stagioni ha vinto altrettanti scudetti sulla panchina di Calvisano. In occasione della presentazione londinese del Pro12 2015/2016, Guidi ci ha raccontato le sensazioni a poche settimane dal via ufficiale della nuova avventura, toccando anche alcuni argomenti di carattere generale come gestione dei permit, formazione degli allenatori e coinvolgimento dei giocatori nell’allenamento.

 

Coach, come valuta la prima stagionale contro Treviso?
Abbiamo analizzato la partita e siamo contenti per l’approccio ma anche per aver fatto ciò che avevamo preparato e su cui stiamo lavorando. Mi è piaciuta soprattutto l’organizzazione difensiva, siamo stati bravi ad attaccare il loro possesso. Nella ripresa abbiamo fatto diversi cambi per vedere il reale valore di tutti i nostri effettivi, e abbiamo in parte perso consistenza. Ma come prima partita, in una settimana per noi particolare, siamo contenti. Sappiamo che c’è molto da lavorare, ma stiamo andando nella direzione giusta con il corretto approccio.

 

Necessariamente avete integrato la rosa con davvero molti permit…
Hanno un treno importante, di quelli che magari passa una volta sola, e stanno prendendo l’occasione nella maniera giusta. Abbiamo la possibilità di testarli e fare anche un discorso in chiave futura. Se la stanno giocando bene. C’è un buon mix tra giocatori delle Zebre e permit, stiamo creando il gruppo che farà le prime tre/quattro partite, che saranno toste perché l’Eccellenza è un altro sport. Stiamo costruendo una squadra che abbia dei contenuti tecnici e morali.

 

Pensa che avranno anche la preparazione mentale per sopportare quattro partite che si preannunciano così difficili?
Per ora i feedback sono positivi. Si sono presentati nel modo giusto a livello di condizione fisica, contro Treviso hanno giocato con un piglio importante e le motivazioni non mancano potendo puntare ad un contratto per la prossima stagione. Stanno vivendo un momento importante e lo stanno facendo nel modo giusto.

 

Poi torneranno diversi giocatori, che dopo un’esperienza come il Mondiale potrebbero avere un impatto positivo su tutta la rosa. Un aspetto positivo nell’avere tanti internazionali via forse c’è!
Al ritorno, che spero sia il più lontano possibile e dopo i migliori risultati, arrivano giocatori migliorati e che possono avere un effetto benefico su tutta la squadra. La Nazionale è grande privilegio, e il Mondiale l’esperienza sportiva più bella che un giocatore possa fare. I nostri torneranno corroborati da una grandissima esperienza di sport e rapporti umani. Io l’ho fatto da riserva, ma mi ha lasciato un grandissimo ricordo. Penso che torneranno caricati. Poi sta a noi far trovare loro una struttura rodata e un gioco efficace in cui possano inserirsi e dare una mano. Non solo, sanno che trovano giocatori che da mesi stanno inseme e devono conquistarsi il posto. Ma la concorrenza fa bene a tutti.

 

Da allenatore arrivato dall’Eccellenza, come valuta il sistema dei permit e come lo migliorerebbe?
Tutto è migliorabile. Si potrebbe applicare la libera circolazione, ma è difficile perché giustamente le società vanno tutelate e soprattutto ringraziate, che è la prima cosa da fare. Abbiamo attinto a piene mani da Calvisano, Fiamme Oro e Petrarca, e se questi giocatori sono all’altezza è per il lavoro che fanno coi propri club. E’ però importante che le squadre di Eccellenza possano fare il loro torneo, e non lo dico perché vengo da quella competizione… Abbiamo pieno rispetto per i loro interessi e le loro competizioni, ma giocoforza attingiamo da lì, e quindi più il rapporto è costruttivo e meglio è.

 

In questo senso, avete pensato a qualche novità, come stage o allenamenti congiunti?
Stiamo vedendo di costruire qualcosa soprattutto nelle zone vicine, per avere un test alla settimana su difesa e conquista e ci stiamo attivando in questa direzione. Deve esserci collaborazione tra tutti: Zebre, Treviso e i club di Eccellenza. E’ importante per la crescita tutti.

 

Lei invece ha avvertito di essere entrato in un altro livello di rugby?
Da quello che ho potuto vedere il Pro 12 è una competizione con un’intensità e un lavoro strategico molto differente dall’Eccellenza. Il percorso che ho fatto a livello di Nazionale con l’Under20 e con l’Emergenti mi dà un aiuto, e di conseguenza mi approccio nel modo migliore. Diciamo che qualche lezione a casa già l’ho fatta. Con lo staff, poi, stiamo implementando un sistema nuovo di allenamenti.

 

Di cosa si tratta?
Come tempistica, facciamo allenamenti più brevi ma più intensi. Come struttura del lavoro, creiamo situazioni di gioco in cui i ragazzi costruiscono l’allenamento e gestiscono il momento strategico. Le decisioni le prendono i giocatori in campo, non possiamo pretendere di essere un joystick, e non sarebbe nemmeno rispettoso nei confronti dell’intelligenza rugbistica e sportiva dei ragazzi.

 

Un giocatore che diventa allenatore di se stesso?
Non proprio. Noi costruiamo quella situazione che secondo noi è più vicina all’organizzazione della squadra avversaria, e loro prendono la decisione. Su questa parliamo e capiamo se è quella ottimale, e chiaramente interveniamo e correggiamo. Sta a loro trovare la strada, noi dobbiamo ricreare l’oggettività a livello di intensità e organizzazione. Come diceva un mio vecchio allenatore, i giocatori sono complici della loro formazione e prestazione.

 

Tutto ciò prevede un enorme lavoro di studio delle altre squadre. E con avversari che arrivano da tre diverse nazioni oltre l’Italia non è certo facile
E’ un po’ il segreto di Pulcinella dell’alto livello. Devi fare uno studio approfondito degli avversari, avere una tua identità e capire in che modo questa può far male all’avversario. Poi, spiegarla e convincere i ragazzi della bontà e farla riconoscere durante il gioco. Da questo punto di vista, Glasgow è un esempio perfetto.

 

Dal penultimo posto nel 2011 alla vittoria quest’anno…
Hanno un’ottima organizzazione, ma non è da sottovalutare il lavoro di reclutamento e scouting appropriato. Grazie a questo, e alla disponibilità di uno staff tecnico di primo ordine, ha consolidato la propria identità divenendo un punto di riferimento. Ciò non vuol dire fare come loro, ma sapere che con un lavoro ben fatto si va avanti. Poi, a parte tutto, reputo Townsend uno dei migliori allenatori al mondo: ha costruito un gioco molto strumentale per affrontare contro certi tipi di squadra.

 

Prima parlava della sua esperienza con le Nazionali. Che difficoltà ha avuto nel passare dall’allenare una selezione nazionale ad un club, e che vantaggi ne ha tratto?
Il club mi ha insegnato a gestire il quotidiano, che è una cosa che con le Nazionali non fai. Ed è una cosa difficilissima, perché, faccio un esempio, con le Nazionali se un giocatore non si inserisce bene nel gioco ne convochi un altro, con il club inizi un cammino con una rosa che non cambia. Poi, chiaramente, cambiano i rapporti con i giocatori. La Nazionale, invece, dà un metodo, dà la possibilità di studiare l’avversario e valutare la strategia che metti in atto. In un percorso di un allenatore credo servano tutte e due le cose. Inizialmente pensavo che il club potesse essere qualcosa di forse meno formativo, ma la mia formazione si sta completando molto negli ultimi anni.

 

E il cerchio si chiuderà?
Intanto è fondamentale essere qui e avere la possibilità di affrontare questa sfida con persone di cui ho massima fiducia e di cui sono molto amico, da Andrea De Rossi a Victor Jimenez a Silvano Garbin, con cui stiamo cercando di costruire qualcosa di importante.

 

Per chiudere una domanda specifica. In ordine alfabetico Canna, Haimona e Padovani…
E’ una bella sfida, e la vivo con molta curiosità. Abbiamo due giovani più Kelly che va ancora sviluppato, e in più la possibilità di sviluppare Azzolini da permit. Padovani è a un bivio e adesso tocca a lui perché ha la possibilità di dimostrare tutto il suo valore. Haimona su un certo tipo di gioco è molto utile, e Carlo Canna invece va costruito perché si affaccia ora all’alto livello. Questi ragazzi ora hanno un percorso, e tocca a noi. Non possiamo appellarci a niente e nessuno per le sorti dei numeri dieci, perché le loro sorti le abbiamo in mano noi e lavoreremo in modo specifico.

 

Proverà Haimona a primo centro?
Credo che il primo uomo in piedi debba essere il migliore attaccante, e abbiamo a disposizione i chili di Haimona da usare bene e con logica in rapporto al tipo di conquista. Penso che avere un ball carrier nella zona tra la rimessa e la linea veloce è una situazione a nostro vantaggio. Per questo a me Kelly Haimona piace a dieci. A primo centro con Garcia, Boni e Matteo Pratichetti siamo a posto.

 Di Roberto Avesani

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