Conquista e carattere: il day after della più gelida delle docce scozzesi

Nella sconfitta di Edimburgo sono latitati due aspetti senza i quali è impossibile non solo vincere, ma anche evitare le critiche

ph. Russell Cheyne/Action Images

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Ci si aspettava una reazione dopo il ko interno di Torino della scorsa settimana. E invece a Murrayfield è andata ancora peggio. Molto peggio. Vero che la preparazione fisica, vero che è un Test Match, vero che abbiamo affrontato una Scozia che ancora non aveva digerito la meta tecnica dell’ultimo Sei Nazioni, vero che in campo c’erano mezzi giocatori di Glasgow campioni del Pro12. Ma questo 48-7 fa male, malissimo.
Soprattutto per come è maturato, e per come è stato subito dagli Azzurri, incapaci per tutti gli ottanta minuti di trovare una reazione e di proporre un qualunque tipo di gioco. Laidlaw e compagni ci hanno dominato fisicamente, atleticamente e tatticamente, e solo una fortunosa meta di Campagnaro, su esecuzione tutt’altro che perfetta, ha mosso il tabellino a nostro favore.

 

Coach Brunel in conferenza stampa si è detto “sconvolto” ma sicuro che si sia trattato solo di “una brutta giornata”. Sarà, ma da diverse partite a questa parte di brutte giornate se ne sono viste parecchie, e la sensazione è che a neanche un mese dal via del Mondiale i compiti a casa non siano stati fatti. Già perché concedere una meta con doppio salto dell’uomo in perfetta parità numerica, subire dei tenuti da prima fase nei 22 ospiti e non riuscire ad andare oltre la terza fase, più che indizi di una giornata storta sono ormai spie conclamate di una mancanza di struttura di gioco.
Passino gli in avanti, i passaggi mal calibrati, le prese al volo e gli ovali persi a contatto, per i quali ancora si può parlare di ingranaggi da oliare e meccanismi da perfezionare, ma quanto visto in campo in terra scozzese è decisamente più preoccupante. Ripensando alla partita, l’impressione poi è che talvolta si sia eseguito tanto per eseguire ma senza una logica: il passamano tra due carrier senza una spia da fissare, i doppi finti penetranti senza un portatore che raddrizzi, la touche alla McCaw su Vunisa a venti metri dalla meta e peraltro ben letta… Un po’ come il cross kick di Torino con il calciatore in posizione azzerata. Ma c’è di più. Ad aver latitato nella sconfitta di sabato sono soprattutto due tra gli aspetti più decisivi nell’economia di una partita: la conquista e il carattere.

 

Se nella touche qualcosa si è visto, in mischia ordinata abbiamo sofferto terribilmente e forse come mai nelle ultime uscite, contro una squadra che proprio nel confronto ordinato ha un suo punto di domanda. Le prime tre mischie hanno portato ad altrettanti calci di punizioni contro Castrogiovanni, la cui legatura è da subito finita nel mirino di Poite, ma in generale per tutti gli 80 minuti abbiamo sofferto in questa delicata fase, concedendo ancora punizioni e non trovando su nostra introduzione possessi di qualità. Che le nuove regole ci abbiano penalizzato ci sta, che per tutta una partita non riusciamo a risolvere la situazione e capire il metro del direttore di gara è invece già diverso, tanto più partendo con una prima linea cui l’esperienza non manca di certo (e sperando che la commissione disciplinare non complichi ulteriormente le cose…). E per l’Italia, che tradizionalmente ha costruito e puntato molto su questo fondamentale, non è di certo una buona notizia.

 

Ma c’è qualcosa di forse ancora più “sconvolgente”, per dirla con l’aggettivo usato dal coach: l’atteggiamento e il carattere con cui gli Azzurri sono scesi in campo. Messi da subito sotto, non vi è stato alcun tipo di reazione: un placcaggio duro, una pulizia feroce in ruck, un impatto a mo’ di gettone… L’unica piccola scossa si è registrata con l’ingresso di Bergamasco, che ha subito impattato bene due volte dando avanzamento. Per il resto, l’Italia è stata in balia degli avversari, e il pessimo linguaggio del corpo lo ha confermato: incomprensioni, sguardi persi, gesti di sconforto dopo gli intercetti e mani nei fianchi. Dall’altra parte una Scozia entrata a mille, ma soprattutto giocatori che ancora attendono di conoscere la lista dei 31 e che forse qualche motivazione in più l’hanno messa.
Poi ci sono tutte le scusanti del caso (chiedere ad un giocatore che non gioca mediano di mischia di fare un buon calcio nel box è come chiedere ad una seconda linea di lanciare dritto in touche), tutte le scelte difficili da capire (se Bergamasco è il giocatore fisicamente meglio messo perché non sfruttarlo maggiormente, visto che l’obiettivo era vincere) e i soliti discorsi che in quattro anni non siamo riusciti a fare meglio che andare al Mondiale con due aperture di cui uno la scorsa stagione in Eccellenza e due mediani di mischia di cui uno mezzo estremo. Purtroppo però nello sport si può solo parlare di chi va in campo mettendoci la faccia: e quest’ultima Italia è stata forse la peggiore della gestione Brunel.

Di Roberto Avesani

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