Marco Pastonesi ci prende per mano e porta a (ri)scoprire un nome importante della palla ovale italiana
Era uno studente del classico, poi d’arte e infine di teatro. Era un uomo di cultura. Era un giornalista sportivo. Ed era, benché giornalista, perdipiù sportivo, un signore. Era giacca e cravatta, ma anche maglione. Era un paio di occhiali da vista. Era un cappello, quando il cappello gli serviva come lasciapassare per rimanere due ore al vento o al freddo. Era penna e taccuino. Ed era, soprattutto, microfono.
Perché Mirko Petternella era una voce. La voce del rugby. Forse i suoi pezzi li scriveva, e così forse li leggeva, ma più spesso li improvvisava, li dettava, a braccio, e naturalmente a voce. La sua voce specchiava il suo carattere: pacato, gentile, educato, istruito, signorile, elegante. Una voce che raccoglieva mischie e touche, che accoglieva placcaggi e mete, e a tutto conferiva un’armonia, una sintonia, un senso.
A “Domenica Sport”, Radio Rai, la voce pacata di Petternella arrivava dopo il calcio di serie A, B e C, fra il ciclismo e il basket, a volte liberata in uno spiffero, oppure rapida e puntuale come una scheggia, da oasi dimenticate come L’Aquila e Frascati, come Rovigo e Padova, portando, fra tanti 0-0 e 1-1, punteggi lievitati da calci e prodezze che la gente, forse, non riusciva ancora ad apprezzare, o forse proprio ignorava.
A Mirko Petternella – anche tre Olimpiadi, quelle di Monaco 1972, Montreal 1976 e Mosca 1980, sempre interpretate per valorizzare gli sport vari – è dedicato il torneo femminile di rugby a sette organizzato a Rovigo dalle Rose, che poi sono soprattutto due roseti, Gisella Bellinello ed Enrica Quaglio. Perché quando tutti s’indignavano soltanto a nominare il rugby femminile, lui invece lo introduceva, lo incoraggiava, lo sosteneva, lo divulgava.
Belluno, primo luglio 1933, il kick off, e Venezia, 5 agosto 1996, l’ultimo passaggio. In mezzo, partite e radiocronache, incontri e interviste, parole e numeri, grammatica e sentimenti, e il sostegno che del rugby è il primo comandamento, anche se fatto da chi, pallone in mano, non aveva mai giocato. Ma a dimostrazione che nel rugby c’è posto veramente per tutti, perfino per i giornalisti.
E, come testamento, Mirko Petternella ha lasciato una poesia, che su Internet viene tramandata e moltiplicata come una preghiera, come un inno, come un mantra:
Adesso so che quando si avanza uniti ci sono possibilità di successo.
Adesso so che se non andrò in meta io, ci andrà un mio compagno.
Adesso so che cosa vuol dire rispettare un avversario che è a terra.
Adesso so che potrò cadere e perdere il pallone, ma un compagno sarà pronto a raccoglierlo e a lavorarlo per me.
Adesso so che bisogna avere sempre qualcosa da portare avanti.
Adesso so che si può anche perdere, ma non ci si deve mai arrendere.
Adesso so che per ottenere qualcosa bisogna essere determinati.
Adesso so che correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al futuro.
Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da ragazzi e che, se la vita è un gioco, il rugby è una gran bella maniera di viverla!
E chissà che faccia avrebbe fatto Mirko nello scoprire che una rugbista, sul braccio, si è fatta tatuare proprio le ultime parole della sua poesia. Adesso, Mirko Petternella è il nome e cognome regalato alla tribuna stampa dello stadio del Benetton a Treviso, è il ricordo della fondazione del club triveneto Dogi, ed è la collezione di foto di quella fondazione, più altri oggetti e materiali, tutto affidato al Museo del rugby di Corrado Mattoccia, ed è soprattutto il torneo – da 19 anni – dedicato alla sua memoria: il prossimo si giocherà sempre al Maci Battaglini di Rovigo, domenica 20 settembre, previste sei squadre juniores e 12 seniores (ma le iscrizioni si devono ancora chiudere), frutto di volontariato e sensibilità, tanto che gli omaggi previsti per le rugbiste andranno invece in beneficenza. Il vecchio Petternella avrebbe approvato.
di Marco Pastonesi
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