I Bleus sembrano aver trovato una quadra inutilmente cercata per 4 anni. Ma i modi per batterli ci sono
Si sta parlando molto (e spesso con toni critici) dell’ evoluzione del rugby nel nostro Paese e delle difficoltà vissute negli ultimi 3-4 anni e la recente partita con la Scozia ha ulteriormente infilato la lama in una piaga profonda e dolorosa. Alcuni giocatori hanno giocato ben al di sotto del loro potenziale e, in generale, è sembrata mancare quella voglia di lottare che ha spesso contraddistinto le nostre più belle nazionali del passato: magari inferiori tecnicamente ma piene di cuore.
Il dito è stato immediatamente puntato su alcuni giocatori e sull’allenatore ma la realtà è che questi non hanno grandi colpe: sono troppi anni infatti che in Italia il progetto di rugby di alto livello vive alla giornata, che manca una visione di medio periodo per gestire non solo la nazionale, ma anche i club, le relazioni con i media e la strutturazione del “Prodotto Ovale” come un prodotto vincente che possa coinvolgere interesse, sia di nuovi atleti che di sponsor.
Se i giocatori non vengono messi nelle migliori condizioni di ottenere lquella che gli inglesi chiamano peak performance nei match che contano e non sono spesso a disposizione dell’allenatore per allenamenti periodici, non solo non si riuscirà a creare un identità di squadra ma anche lo spogliatoio ne verrà a risentire: troppi sono stati gli input negativi negli ultimi anni (la lista è ahimé lunga, solo alcuni esempi: dalla malagestione del nostro gioiello nazionale- Treviso – che ha visto l’anno scorso la diaspora di numerosi giocatori, passando per la generale crisi finanziaria del campionato di Eccellenza che porta al poco interesse di televisioni e spettatori per finire al recente e probabilmente necessario “sciopero” dei giocatori della Nazionale) e non si può pretendere tutto questo non abbia degli effetti.
Nel caso in cui poi ci fosse stato bisogno di un ulteriore test che ci desse una valutazione dello status del nostro movimento, l’esame sta per arrivare. E che esame: la Coppa del Mondo! Il terzo evento sportivo del globo – in termini di interesse, audience, sponsors e budget – è infatti ormai alle porte e già si parla di un torneo estremamante ben riuscito dal punto di vista organizzativo e commerciale: più del 90% dei biglietti è gia stato venduto (e a prezzi non esattamente a buon mercato) e gli organizzatori sono convinti che England 2015 diventerà la Coppa del Mondo di Rugby piu ricca della storia.
Ma al di là del lato commerciale noi siamo interessati a capire quali chances abbiamo di approdare ai quarti di finale. Poste quindi da un lato le polemiche nate dalla debacle scozzese focalizziamoci sui nostri avversari e analizziamo i (pochi) punti deboli che hanno e studiamo cosa fare per batterli…
La stampa globale ha bollato il girone di Inghilterra, Galles, Fiji e Australia, come “Pool of Death” ma in quanto a difficoltà quello dell’Italia ha ben poco da invidiare… anzi potremmo dire che ci siamo infilati in un bel Girone Dantesco. E’ vero infatti che solo due anni fa al Sei Nazioni abbiamo battuto entrambe le compagini che andremo a riaffrontare, ma è anche vero che in base alla recente evidenza Francia e Irlanda –quest’ultima in modo particolare – sono arrivate nei gironi alti del Purgatorio mentre noi siamo sul baratro dell’Inferno…
Come potrà allora l’Italia sfatare il tabù che ci portiamo dietro dagli albori della World Cup del 1987 e che non ci permette di superare la prima fase?
I ragazzi in campo dovranno ovviamente dare il 2100% ma per vincere con Francia e Irlanda (non sono assolutamente da sottovalutare Romania e Canada – e ci aspettano partite durissime- ma se vogliamo aspirare al top, batterle è una conditio sine qua non) le partite andranno studiate a preparate a tavolino curando ogni minimo particolare.
La Francia: durante l’ultimo Sei Nazioni chi scrive rimase sciooccato dalla pochezza del gioco bleus. Saint-André proponeva infatti un gioco estremamente basilare (che un poco ricordava quello proposto da Warren Gatland ma con meno costrutto e ritmo) fondato semplicemente sul presupposto che la fisicità rompa la linea del vantaggio. Tramite l‘uso di pesanti ball carriers il gioco francese continuava a cercare di sfondare le difese in maniera frontale con i chilli. Dopo ogni ruck raramente il gioco veniva spostato per il campo alla ricerca degli spazi e spesso venivano fatti solo uno o due passaggi prima di un ennesimo “crash”.
Il problema di questo tipo di gioco (rinominato Warrenball in quanto il coach gallese ne è il suo piu alto estimatore) è che paga dividendi solo quando viene costantemente giocato sulla linea del vantaggio. Richiede quindi una mediana che sia non solo estremamente rapida nella distribuzione (idealmente non dovrebbero passare più di due secondi dal momento in cui il portatore di palla va a terra e la palla viene “riciclata” dal mediano di mischia), ma che abbia il coraggio di giocare “in faccia” alla difesa.
Richiede cioè un apertura che non abbia difficolta a giocare estremamente alta e che sia in grado di “danzare” nei rarefatti spazi vicino al punto di incontro al fine di aprire porte per i suoi bisonti. Proprio per questo ci sorprese la scelta di schierare Camille Lopez a numero 10: Lopez è infatti un buon giocatore con un ottimo calcio ma, come succede a molte aperture, tende a giocare sempre molto profondo (compromettendo quindi il funzionamento del Warrenball). La presenza di Lopez non permetteva mai al gioco di decollare, raramente si andava a superare la linea del vantaggio rendendo il tutto lento, poco efficacie e brutto, bruttissimo da vedere.
Un altro punto critico dell’ approccio del coach francese negli ultimi tre anni è stata la continua sperimentazione di svariati giocatori in tutti i ruoli chiave e questo ha comportato una totale assenza di continuità nel gioco. Una Francia del genere sarebbe estremamente facile da prevedere e da contenere… ma questa era la situazione sino a due settimane fa. All’improvviso, nella seconda partita di preparazione al mondiale contro l’Inghilterra sembra che finalmente l’alchimia sia stata trovata. Come per miracolo tutti gli esperimenti di Saint-André hanno trovato una quadra e ora la Francia sembra una squadra meritevole del suo alto lignaggio nelle competizioni internazionali.
Non a caso in regia c’era un furetto chiamato Frédéric Michalak. Michalak è esattamente il collante che l’ingranaggio di gioco francese stava cercando: gioca alto, non ha paura a muovere il pallone quasi a contatto con il placcatore e continua a muovere il baricentro cercando di aprire maglie nella difesa (chi ha visto la partita con l’Inghilterra ha potuto apprezzare queste qualità proprio nella meta di Huget – altro giocatore in grandissima forma: Michalak ha attirato la difesa su di sé aprendo un piccolo varco al suo interno sfruttato in maniera impeccabile dalla forte ala).
Ma la Francia mondiale non è solo Michalak ed Huget. La mischia sembra estremamente solida (Rabah Slimani ha praticamente distrutto Marler) e la rimessa laterale è impeccabile. Il numero 8 Picamoles poi è in una forma strabiliante e regolarmente rompe uno-due placcaggi prima di riciclare la palla. I centri sono di livello mondiale: la grazia di Fofana unita all’artiglieria pesante di Bastareaud, due ali estremamente rapide unite al solido Spedding ad estremo: una squadra che con un po’ di fortuna potrebbe arrivare in finale.
Cosa può fare la piccola Italia per contrastare questa corrazzata? Sembrerà strano ma forse quella con la Francia è proprio la partita che dobbiamo considerare la nostra miglior chance di passare ai quarti: vincere richiederà una sommatoria di fortuna, grande coraggio e dedizione ma anche di furbizia strategica. E forse il fatto che sia la prima partita del girone potrebbe girare a nostro favore.
Per sconfiggere il Warrenball francese ci sono alcune regole semplici ma che vanno seguite pedantemente e che comportano non solo un particolare modo di difendere ma anche una scelta di giocatori con determinate caratteristiche: ci vogliono infatti placcatori estremamante fisici (ogni talvolta in cui il placcaggio che viene portato è di quelli dominanti, il ritmo dell’attacco viene infatti interrotto. Favaro sarà utilissimo) e, nello specifico caso in cui venisse selezionato Michalak, bisogna sempre usare almeno due/tre giocatori nel placcaggio/ruck al fine di rubare/rallentare la palla (un concetto che sembra andare contro al vecchio dogma di non usare troppi giocatori in ruck).
Michalak tende infatti a giocare sempre molto alto e se questo gli permette di creare molti problemi nelle zone limitrofe al punto di contatto, più difficilmente gli permette di allargare la sua vista periferica e muovere il pallone al largo. L’idea è quindi di portare sempre un uomo a placcare e uno/due ad agire da grillotalpa per tentare di rubare la palla ma con l’intento vero di rallentare il riciclo: sporcare la palla stringendo al contempo le maglie defensive: tenere cioè una linea di difesa molto unita e stretta lasciando più spazio al largo. Non aver paura quindi di usare troppi uomini in ogni singolo punto d’incontro e portando le ali quasi in linea a non più di due metri dal secondo centro.
Bisogna infatti portare una pressione serrata intorno al playmaker e ai ballcarriers (prendendoli come target e asfissiarli) senza aver paura di scorprire le ali. Si deve prendere il rischio (calcolato) di scoprire i fianchi per portare la fisicità vicino al punto di contatto. Se vogliamo vincere dobbiamo inculcare nella mente dei nostri atleti che devono comportarsi come se se fossero 14 flankers che devono agire sia come difensori che come grillotalpa. Oltre all’estremo ovviamente che deve fare un gran lavoro a coprire gli spazi scoperti dalle ali.
Contemporaneamente i centri, al fine di mettere ulteriore pressione sulle scelte dell’apertura, devono avere il coraggio di porre in essere la difesa rovesciata: il secondo centro deve cioè correre leggermente davanti al primo al fine di negare all’apertura l’opzione di andare al largo. Quello che si vuole ottenere è che nel momento in cui Michalak riceva la palla e si giri per passarla al largo si renda conto che Fofana (che nell’esempio è schierato secondo centro) è gia marcato. A questo punto l’unica opzione che gli rimane è di giocare la palla vicino a se stesso dove dovrebbero esser presenti i nostri bracconieri pronti ad assaltarlo.
Sua altra opzione sarebbe quella di cercare il grabber dietro la schiena dei trequarti ma, a meno che non sia eseguito con estrema precisione, il nostro estremo dovrebbe essere in grado di arrivarci per primo.
Questa è una versione leggermente piu strutturata della tecnica usata ad esempio dai Saracens e che è stata denominata Wolfpack (branco di lupi): si copre una porzione più stretta del campo mantenendo gli spazi tra i difensori molto vicini e c’è una totale fiducia nel compagno a tal punto che non si guarda più davanti a sé per inquadrare il proprio diretto avversario ma si quardano le mani del mediano di mischia avversario (anche in questo caso allontanandosi dal dogma di non perder mai di vista il proprio diretto avversario in difesa). Appena questo passa l’ovale tutto il branco parte: se il gruppo è allineato non c’è bisogno di cercare l’avversario in quanto questo cadrà per forza nella maglia.
Questa tecnica difensiva funziona contro squadre che raramente usano gli spazi al largo e che hanno poche opzioni al piede e potrebbe pagare contro la Francia ma va allenata con estrema precisione.
Altro punto debole della Francia è infatti dovuto al fatto che non ci sono opzioni al piede al di fuori del numero 10. Né Bastareaud né Fofana sono abituati ad esplorare gli spazi con il gioco aereo. Questo può quindi permettere di tenere le ali alte in difesa senza troppo preoccuparsi della profondità. Questo potrebbe essere un ulteriore elemento da considerare nella selezione dei giocatori: forse sarebbe utile usare i chilli di Venditti (il cui gioco aereo non è impeccabile ma che potrebbe aiutare in una difesa offensiva) e magari portare un combattente come Masi tra i centri per portar fisicità nei placcaggi.
La mischia dovrebbe poi usare tutti i suoi gladiatori: Castro come impact player negli ultimi 30 minuti, Minto in seconda e Favaro e BergaMauro che si alternano appena quello che entra per primo non sta più in piedi…
In attacco sarà invece fondamentale usare il piede con astuzia: Speeding non calcia infatti quasi mai e va preso come target. Sarà importantissimo calciare quindi palloni alti e/o lunghi e portare una forte pressione facendo particolare attenzione a non lasciare gap nella linea di prima difesa: se si riuscisse a prender Speeding con palla in mano e ad avere almeno un grillotalpa che metta le mani sull’ovale probabilmente si potrebbe ottenere un buon numero di calci di punizione nella metà campo avversaria.
Con questa Francia non conviene attaccare alla mano nella nostra metà campo, avrebbe più senso esplorare gli spazi al piede portando pressione nella metà campo francese e tentando di sfruttare le palle di recupero o cercando di forzare penalties per “tenuto a terra”: l’unico modo di battere i transalpini sarà quelllo di impostare una lotta di trincea con una linea di difesa super compatta (meglio prender una meta al largo che farsi bucare intorno al punto di contatto) e prendendo alcuni dei loro playmaker come target: su Picamoles, Michalak e Bastareaud si dovrebbero sempre mandare due uomini a placcare/sporcare: se riuscissimo a rallentare i loro ball carriers con placaggi dominanti avremmo tolto ossigeno al loro ritmo e il gioco francese diventerebbe molto prevedibile.
Non sarà rugby champagne ma per arrivare ai quarti di finale si deve impostare una partita asfissiante ove la difesa sarà al limite del fuorigioco. anche se grandissima attenzione andrà alla disciplina. Speriamo che la sconfitta di Murrayfiled serva per dare la sveglia al gruppo azzurro. Se prendiamo i nostri giocatori uno per uno non sono certo male (e in certi reparti abbiamo delle eccellenze) e, come dimostrato negli ultimi Sei Nazioni, sono capaci di vittorie e prove importanti. Per andare avanti alla RWC però dovranno superare se stessi e prepararsi al sacrificio totale: la bellezza di questo fantastico sport è che al di là dei purismi tecnici rimane una disciplina di lotta e se riuscissimo a sottomettere la Francia fisicamente… beh, un miracolo potrebbe succedere.
Nel lontano Febbraio 2000 una timida Italia entrava in punta di piedi nel Sei Nazioni contro i campioni in carica del 1999 e tutti si aspettavano un tracollo. Cosa dicevano i giornali a chi andava in campo non interessava, il nostro Game Plan era molto semplice: palla alta e placcare, placcare, placcare. Il 19 Settembre speriamo lo stesso messaggio venga inculcato nelle menti dei nostri ragazzi, forza Azzurri!
di Marco Rivaro
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