Un film che racconta la storia di Alejandro Puccio, campione del CASI in Argentina e sequestratore
Alejandro Puccio è una specie di Giano bifronte. Da un lato c’è il giocatore di rugby, popolare nell’Argentina di fine anni ’70 e inizio anni ’80, una colonna del CASI dove giocava come ala, con 5 caps con i Pumas e due mete marcate. L’altra faccia invece è di quelle terribili: Alejandro Puccio sequestrava e uccideva persone assieme al padre Arquimedes, che aveva creato una vera e propria organizzazione criminale negli anni finali della dittatura militare nel paese sudamericano. Rapivano persone che in almeno quattro casi si conclusero con l’assassinio (in due occasioni nonostante il pagamento di un riscatto).
Alejandro e la sua popolarità erano il paravento utilizzato per coprire la vera natura della famiglia Puccio. E non c’è lieto fine: Alejandro era parte attiva, sapeva tutto e prendeva parte alle “operazioni”, chiamiamole così. Venne fermato dalla polizia alla metà dell’agosto 1985, poche settimane prima che la sua squadra vincesse il campionato. E’ morto nel 2008 per un attacco cardiaco mentre era in libertà condizionata (nonostante il tribunale lo avesse condannato all’ergastolo).
La sua storia – e quella della sua famiglia – sono ora raccontate nel film “El Clan” di Pablo Trapero, in corsa alla 72/ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Un film che racconta la storia di una famiglia in cui tutti sono complici: i sequestrati venivano tenuti infatti nella loro cantina e chi non prendeva parte ai rapimenti – come la mamma di Alejandro – faceva finta di non sapere. ”Quando è scoppiato il caso della famiglia Puccio, che assassinava e sequestrava i vicini, io ero appena adolescente ma sono stato molto impressionato da questo fatto e il caso ha voluto che poi lo potessi raccontare davvero giusto nel trentennale della cattura della banda – dice Trapero – Credo che le vicende di Puccio siano un sintomo della dittatura e sono state possibili solo con la complicità della stessa. Ma El Clan è anche un film sull’ipocrisia quella che c’era allora in Argentina e c’è ancora anche nel resto del mondo”.
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