L’ex numero dieci torna a ribadire le sue critiche e i suoi dubbi sul movimento. E dice che l’Italia alla RWC non ha speranze
Dice che i 20 anni di professionismo hanno profondamente cambiato il rugby («E’ diverso, né migliore, né peggiore. Diverso. Vent’anni fa si cominciava. Noi eravamo se-mipro,’non avevamo i ritmi di allenamento, la costanza nella preparazione, l’igiene di vita di oggi. Però vent’anni fa c’era un’altra fame. C’era passione e ci si ammazzava in campo») e che non sa dire se è in salute o meno. Che gli All Blacks sono favoriti al Mondiale, che Milner-Skudder sarà la sorpresa del torneo e che l’Italia non ha speranza di passare il turno, anche se poi chiosa “spero di bagliarmi”.
Diego Dominguez in una intervista al Corriere dello Sport parla ancora una volta del movimento Italia, e le sue paole sono al solito molto critiche: “I giocatori che sono arrivati in questi due anni non hanno lo stesso spessore tecnico dei vecchi. Fisicamente sono grossi, ma ormai lo sono tutti. La differenza la fa la testa e il bagaglio tecnico. E noi purtroppo non abbiamo una formazione all’altezza. In più nel 2013 i leader della squadra avevano due anni in meno e qualcuno era già a fine carriera. Dopo i 31-32, ogni anno è più difficile mantenere il livello. Infine ci mancano i trequarti per sfidare le big. Passaggio, sostegno, pulizia in ruck: tutte cose che sappiamo fare, manonalla velocità che richiede il rugby internazionale”.
Dominguez dice poi di essere preoccupato per il futuro perché non vede ricambi all’altezza e in un’altra intervista, stavolta a Rugby 1823, torna sulla questione della formazione dei giocatori, soprattutto in chiave numero 10: “Nessuno ha formato né aperture né mediani di mischia. Sono due ruoli difficilissimi devi educarli. Non mancano i talenti, ma mancano i formatori”.
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