Una supremazia che sembra aver fatto un salto di qualità. Per “colpa” dei Pumas, della cultura e dei calendari
Su Inghilterra 2015 è sceso il dominio dell’emisfero sud: in semifinale vedremo infatti Sudafrica, Nuova Zelanda, Argentina e Australia, in rigoroso ordine di qualificazione. Il Rugby Championship nella sua interezza e i quattro quinti del Super Rugby prossimo venturo (escluso solo il Giappone che viene assimilato da sempre alle nazioni della parte australe del globo ma che gograficamente si trova in quello boreale). E’ la prima volta che nella storia del Mondiale tutte e quattro le semifinaliste arrivano da un solo emisfero.
Qualche numero per fare una foto generale: nelle 7 edizioni finora disputate e concluse della RWC (quindi dal 1987 al 2011) delle 28 squadre giunte alle semifinali 15 erano dell’emisfero sud, 13 di quello nord, un sostanziale equilibrio ma alla fine solo una volta nel torneo si è imposta una squadra proveniente da sopra l’equatore, l’Inghilterra nel 2003. Predominanza “meridionale” anche nella finalina per il 3°-4° posto, che in 5 occasioni su 7 è stata vinta da All Blacks e soci. Quest’anno vedremo una finalisima targata tutta emisfero sud, cosa avvenuta finora una sola volta nel 1995 in Sudafrica, quando i padroni di casa superarono la Nuova Zelanda.
La predominanza dell’emisfero sud non è perciò una novità, anzi, ma sicuramente c’è un consolidamento di questa tendenza. Di più, un salto di qualità. Che se nel 2007 la semifinale conquistata dall’Argentina venne letto da molti come un exploit momentaneo oggi non si può più dire così: quel risultato è stato il cemento su cui il movimento sudamericano ha costruito un palazzo ancora in costruzione ma che sta crescendo bello e solido grazie a una capacità di programmazione e di chiarezza di intenti (e di intelligenza) che ci piacerebbe vedere anche ad altre latitudini a noi molto più vicine…
E’ infatti l’Argentina la vera variabile che fa pesare la bilancia dalla parte dell’Emisfero Sud in maniera più decisa che non in passato, perché i Pumas sono ormai una realtà che va consolidandosi e che il Super Rugby non farà altro che migliorare. Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica fanno infatti le cose che hanno sempre fatto, chi più chi meno, anche nelle edizioni precedenti.
E il rugby dell’emisfero nord come è messo? In questo momento difficile verrebbe da dire abbastanza male, ma non ce la sentiamo di essere disfattisti. Ci sono cose da sistemare, da migliorare, su cui lavorare, ma va pure detto che le due migliori formazioni europee degli ultimi anni (Galles e Irlanda, vincitrici degli ultimi quattro Sei Nazioni) sono arrivate ai quarti di finale con le infermerie sold-out quasi quanto gli stadi che ospitavano le partite, a ranghi completi le cose potevano andare in maniera diversa. Certo l’Inghilterra arranca: da alcuni anni non ottiene affermazioni importanti ed è impegnata in un processo di crescita e consolidamento che sta durando più a lungo di quanto preventivato e quel movimento nell’economia del rugby del nord, diciamo così, è determinante per ampiezza, profondità e ricchezza.
Inghilterra che in questa edizione è stata inserita nel cosiddetto “girone della morte” con Australia, Galles e Fiji e quindi una sua eliminazione non poteva non essere messa in preventivo, Inghilterra che però va detto non ha mai dato impressione di essere padrona della situazione nemmeno nella giornata inaugurale contro le Fiji, uscendo vittoriosa con un risultato che puniva eccessivamente i pacifici per quello visto in campo.
Poi c’è la Francia, “malata” cronica ormai da alcuni anni e che sta uscendo dalla peggiore gestione tecnica da quando c’è il professionismo (non lo diciamo noi, ma la percentuale di vittorie ottenute da Philippe Saint-André), una Scozia che sta mettendo i mattoni per delle nuove fondamenta ma che ha anche a che fare con una base piuttosto ristretta. E che comunque è rmasta fuori dai quarti per un dettaglio. E poi c’è l’Italia, il cui movimento è sostanzialmente fermo ormai da diversi anni. Ma non possono essere Scozia e Italia a determinare una situazione simile. O meglio: non possono peggiorarla per quanto male possano fare, se invece iniziassero a migliorare potrebbero spostare l’asse, un po’ come ha fatto l’Argentina.
Ma perché questa differenza di risultati? Il rugby del sud è sempre stato tendenzialmente più spettacolare, ma spettacolo non è necessariamente sinonimo di vittorie (che poi definire spettacolo è cosa non semplice: le mischie non sono spettacolari?). Di sicuro i vari All Blacks, Wallabies e compagnia cantante hanno saputo migliorare in quelle fasi di gioco in cui per tradizione sono sempre state un po’ più deficitarie, un percorso in territori “altrui” che in Europa ha attecchito meno.
Ma anche questo non basta a spiegare tutto. Il Pumas Juan Imhoff subito dopo il trionfo sull’Irlanda ha detto che “in Europa si pensa a vincere, nell’Emisfero Sud si pensa a giocare”. Difficile dargli torto, una differenza culturale che ha il suo peso specifico importante.
Posto che non esiste una sola ragione che possa dirci da sola in maniera esaustiva del perché di questa supremazia effettiva rimane un aspetto a nostro parere determinante che poche volte viene sottolineato: i calendari dell’Emifero Sud sono molto meno intasati dei nostri. Qui abbiamo una stagione che inizia a settembre e termina a maggio, giugno per qualcuno. In mezzo ci sono i tornei nazionali, le coppe, i test-match, il Sei Nazioni e i test estivi che sono sovrapposti.
Nell’emisfero sud i calendari sono più lineari: Super Rugby da febbraio a fine luglio (con stop per i test di giugno), poi il Rugby Championship, quindi i domestic e si chiude con i tour di novembre in Europa. Sono mesi con trasferte più lunghe, è vero, ma i calendari sono decisamente meno intasati. Probabilmente ripensare le nostre stagioni male non ci farebbe. Non basterebbe ma sarebbe un buon inizio. Poi i vari movimenti ci devono mettere del loro. Capito Italia?
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