Il capitano azzurro rilascia una intervista dopo i blitz di venerdì che sono costati la vita a 129 persone
Una intervista atipica, di quelle che Sergio Parisse non navrebbe mai voluto rilasciare. Ma lui è il giocatore-simbolo dle nostro rugby, il capitano dello Stade Francais, la squadra parigina campione di Francia. Inevitabile che qualcuno gli chiedesse qualcosa degli attacchi terroristici che hanno interessato la capitale transalpina lo scorso venerdì sera. A farlo è l’agenzia di stampa La Presse.
Quando gli si chiede come sta vivendo questi giorni il capitano azzurro risponde netto: “Come chiunque altro, parigino o no, che si trova in questa splendida città. Con disagio, preoccupazione, terrore e rabbia. L’atmosfera è surreale. Io e i miei compagni viviamo questo sconcerto in un ambito di estrema solidarietà. Per quelli francesi credo sia un dolore ancora più grande visto che coinvolge anche i loro parenti e amici”.
Gli viene chiesto anche se pensa che lo sport possa avere un ruolo importante: “Certamente sì, lo sport è sempre stato motivo di aggregazione ed identificazione, sia all’interno di una squadra che per i tifosi assumendosi l’onere, e non sempre riuscendoci, di essere d’esempio. Il terrorismo normalmente sceglie di colpire i punti di grande aggregazione come un concerto o una partita. Situazioni di grande spensieratezza, tramite le quali, oltre a raggiungere un grande numero di persone, punta a minare la serenità della gente portandola a non partecipare più a questi eventi di grande socializzazione”.
Poi chiude con una battuta sulle parole di Cavani e David Luiz, calciatori sudamericani del Paris Saint Germain, che hanno detto che potendo “non rientrerebbero” a Parigi: “Pur rispettando la loro opinione – dice Parisse – sentendomi parte integrante di questa città, mi sembrerebbe di tradire il mio amore per lei e tutti i miei amici francesi riconoscendo così la vittoria del terrorismo”.
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