Romeni, portoghesi e tedeschi: l’altra Europa porta l’Italia a terra

Due sconfitte (clamorosa quella del Mogliano con l’Heidelberg), una vittoria sofferta. Il rugby italiano deve cambiare marcia

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Le sconfitte nette, quando non le imbarcate, non sono purtroppo una novità per il rugby italiano quando prende parte a competizioni internazionali. Così su due piedi pensando agli ultimi anni ci vengono in mente l’82 a 0 incassato a Monza dagli Aironi per mano del Clermont nel gennaio 2012 o – un paio di stagioni prima – il clamoroso tonfo del Petrarca in terra di Spagna. Però quando nel breve volgere di qualche ora due squadre tra le più forti e importanti del nostro massimo campionato nazionale vengono battute da romeni e tedeschi (!!!) mentre una terza supera sul filo di lana una compagine portoghese, beh, un qualche salto di qualità al contrario è stato fatto. Mettiamoci la casualità della concentrazione di questo tipo di risultati in una sola giornata, però l’impressione è che il rugby italiano stia raccogliendo quello che per troppo tempo è stato seminato. O che NON è stato seminato.

 

Lo abbiamo scritto anche altre volte: il nostro è un movimento fermo da diversi anni, diciamo dopo il Mondiale 2007. Per un po’ di tempo siamo andati avanti con l’inerzia accumulata negli anni precedenti, poi la spinta si è affievolita fino a fermarsi quasi del tutto. La nazionale nell’ultimo quadriennio ha vinto una manciata di partite, quasi tutte concentrate tra l’altro nella prima stagione della gestione Brunel, le due franchigie seguono a ruota (Treviso ha vinto la sua ultima partita a febbraio, poi 19 ko consecutivi), le squadre dell’Eccellenza – tolto qualche isolato exploit – nelle coppe non hanno praticamente mai vinto, hanno spesso incassato punteggi pesantissimi e ora vengono (a volte) messe sotto da avversari che provengono da movimenti che ci sono inferiori ma che stanno accorciando il gap. E‘ evidente che c’è parecchio che non funziona, ma la macchina gira allo stesso modo da diverse stagioni. Viene apportato qualche correttivo, messa qualche pezza, ma non si fa l’unica cosa che andrebbe fatta: cambiarla.

 

Attenzione, non stiamo parlando dell’attuale gestione federale. Non solo almeno. I nostri problemi arrivano da più lontano ed evidentemente i pochi rimedi studiati (anche da questa gestione) funzionano poco e male. Ma è altrettanto chiaro che le responsabilità ricadono anche su club e società che in alcuni casi e in alcuni momenti hanno utilizzato il paravento-FIR come alibi.
Sottolineare che il panorama in cui si muove la federazione è necessariamente più ampio e talvolta complicato rispetto a quello delle società è lapalissiano, ma troppo spesso i club si sono rintanati in prospettive dal respiro davvero corto. Lo scontro – ora latente, ora conclamato – con le politiche federali e i diversi massimi responsabili del nostro movimento è diventato generalmente un alibi. Può sembrare un paradosso ma nel nostro piccolo viviamo tensioni non dissimili da quelli che si registrano ad esempio in Francia, dove però sul tavolo finiscono ogni anno qualche centinaia di milioni, soldi che noi riusciremmo a mettere insieme solo 7 o 8 anni. Forse. Al di là delle Alpi società e club si scontrano e danno vita a forti frizioni per motivi ben evidenti (soldi, la direzione da dare al movimento) e comunque alla fine i risultati arrivano anche dal campo.

 

Da noi perché ci si scanna? Se togliamo la parte che riguarda i personalismi e le rivalità di campanile è difficile capirlo. Siamo imbrigliati in una lotta dalle prospettive ristrette, società e federazione non si scontrano per due diversi “mondi ideali” contrapposti (diciamo così), ma un più prosaico controllo del medesimo giardinetto. Poi perdiamo con squadre tedesche.
Non è uno scontro da cui può nascere un qualcosa di positivo perché l’unica pacificazione cercata è quella che porta il proprio “nemico” in una posizione in cui non può nuocere. Così non si va da nessuna parte. Società e federazione devono trovare un modus vivendi che consenta agli uni e agli altri di perseguire i propri obiettivi all’interno di una medesima politica. Non è impossibile, basta volerlo.

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