Richie McCaw tra viaggi, elicotteri e un possibile futuro tra i minirugbisti

Il capitano All Blacks ha appeso gli scarpini al chiodo. In questa chiacchierata esclusiva con OnRugby ci mostra il suo volto più intimo

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Richie McCaw è una capra. Lo ripetiamo. Richie McCaw è una capra, si avete letto bene. Ok, lo diciamo in inglese: Richie McCaw is the GOAT. E per GOAT intendiamo the Greatest Of All Time. Il migliore di tutti i tempi. Il più grande giocatore di rugby di tutti i tempi. Per quanto alcuni storceranno il naso avallandosi su argomentazioni di fuorigioco, cartellini gialli non dati, sudditanza della terna arbitrale, sarà loro impossibile non riconoscere l’indiscutibile grandezza e apporto che quest’uomo ha donato al rugby negli ultimi 15 anni.
Richard era l’unico dei sei veterani All Blacks che hanno lasciato la maglia nera la sera della finale mondiale di Twickenham ad essere presente all’annuale NZRU Steinlager Awards per ritirare il premio come migliore squadra dell’anno, appunto gli All Blacks. Il suo ultimo ruolo ufficiale come Capitan Fantastic. Un minuto dopo che riflettori si sono spenti sulla manifestazione, Richie McCaw è diventato l’ex capitano degli All Blacks, ha tolto il suo blazer nero con la felce argentata e lo ha riposto nel guardaroba dei ricordi. Non potrà più indossarlo, a meno che in occasioni ufficiali della NZRU e richiesto dalla federazione stessa per protocollo. Certo, ma noi crediamo che quella giacca se l’è meritata e chi andrebbe a lamentarsi se lo si trova in giro per Christchurch ad indossare quel blazer? Noi non di certo.

 

L’indistruttibile uomo in nero, campione di tante battaglie, protagonista di tante interviste post match con la faccia piena di sangue, di stanchezza, di cicatrici, di durezza, era lì sul palco e per la prima volta è diventato un uomo come noi, emozionato, con il groppo in gola, e si è asciugato una lacrima dal viso. Perché la sua esperienza con gli All Blacks è ora veramente, sicuramente, ufficialmente conclusa.
Ci sono stati tanti momenti belli nella carriera di Richiard e questo 2015 ne è stato testimone con una meritata, voluta, cercata e trovata vittoria mondiale, la terza per gli All Blacks, la seconda per lui come capitano in nero: “è abbastanza difficile trovare il modo di far un resoconto di questo 2015 – dice in esclusiva a OnRugby – Sicuramente è stato molto soddisfacente. Se guardo all’inizio dell’anno e agli obiettivi che mi ero fissato, credo di averli raggiunti. Sì, sono molto soddisfatto”.

 

Dopo ogni mondiale, la stampa ed il pubblico kiwi piangono di paura nel vedere tanti campioni lasciare la maglia nera e ritirarsi dal rugby internazionale. Eppure questa compagine All Blacks ha dimostrato e saputo ricambiarsi, ringiovanirsi, riscoprirsi e continuare a vincere. Più dura è forse per coloro che lasciano dietro gli amici di una vita, la routine degli allenamenti, la calda, pacioccosa certezza di sapere già a gennaio cosa faranno per i seguenti 12 mesi, insomma una sorta di stabilità mentale che ora Richard dovrà ritorvare in altre cose: “Certo sarà dura non far più parte di questo gruppo di persone, sarà dura vederli continuare nelle loro cose e non essere più li, anche se ne sono sempre stato consapevole, che questo momento doveva arrivare prima poi. L’importante è non troncare i rapporti, ma mantenersi in contatto. Mi mancherà quel senso di gruppo, di cameratismo quando si esce dagli spogliatoi, si cammina nel tunnel e si entra in campo. Di sicuro non mi mancheranno gli allenamenti pre-stagionali di gennaio!”.

 

Richard è sempre stato un professionista anche lontano dalla stagione rugbistica ed è conosciuto come l’All Blacks piu’ in forma di ritorno dopo i mesi di pausa tra novembre e dicembre. E’ tradizione per i vicini di casa vederlo alzarsi presto il giorno di Natale e scappare tra le sue montagne in Otago rifugiarsi in lunghe corse tra la natura cristallina dell’Isola del Sud, perdersi nei suoi pensieri e catturare la concetrazione necessaria per affrontare un altro anno in nero. Anche se non dovrà piu staccare il biglietto per gli allenamenti con i Crusaders, McCaw non abbandona la corsa, anzi si è buttato in una ben più grande e adrenalinica sfida il prossimo aprile: “Mi sono iscrutto questa settimana in gara di attività Adventure Racing che condurrò con tre compagni nel mio gruppo e include corsa fuori pista, kayak, tramping per 800 Km. Sono estremamente eccitato all’idea, ma anche molto molto nervoso”.
Ma allora dovrà allenarsi come il pre-stagionale? “Non proprio, è differente, non così intenso come il rugby, ma sicuramente orari più lunghi”. Ammettiamo che lo abbiamo trovato già incredibilmente dimagrito, tonico, sì, ma non così grande come sotto scrutinio All Blacks: “Devo ammettere che questa è una sfida che ho sempre desiderato fare e per via del rugby non ho mai potuto intraprenderla. Per cui non vedo veramente l’ora che arrivi aprile”.

 

In tanti chiedono, vorrebbero, diciamo sperano, che Capitan Fanstastic decida di ritornare nel rugby come allenatore. E’ da poco tornato dall’Argentina e Cile come ambasciatore per Air New Zealand che ha inaugurato il primo volo diretto Auckland-Buenos Aires. La Federazione Argentina ha organizzato vari appuntamenti con il pubblico e con giovani giocatori. Nel centro di Buenos Aires è stato lettaralmente assalito da centinaia di teenager, neanche fosse Maradona, tanto che l’evento è stato interrotto per portarlo via. Inoltre in Cile ha presieduto un allenamento con bambini intorno ai 10 anni d’età che lo ha stuzzicato molto: “Ho fatto cose del genere in passato in vari paesi. Mi piacerebbe farlo, cioè educare, bambini kiwi un giorno. Il rugby mi ha dato tantissimo e non è un segreto che farei di tutto per ricambiare questo sport. Certo non è una cosa che voglio far cosi’ tanto per farla, quindi ci devo pensare bene e adesso non è il momento giusto. Deve essere ben strutturata. Ho, beh credo di avere, ancora tanti anni davanti, quindi al momento ho solo voglia di prendermi un meritato riposo”.

 

Riposo si fa per dire perché McCaw avrà un vero lavoro come tutti noi umani. Da un paio d’anni ha investito e comprato azioni in una piccola società di elicotteri di Christchurch e dal 2016 diventerà parte integrante del gruppo di piloti della società stessa, dopo aver preso la patente per volare commercialmente. Richie ha una grandissima passione per il volo, sua vera valvola di sfogo. Possiede la patente per volare con aereoplani a motore, possiede un gliding plane del valore di 250mila dollari neozelandesi con cui vola tra le montagne di Otago nel tempo libero (che gli fu consegnato proprio arrivato in NZ dopo la sconfitta nei quarti mondiali di Cardiff del 2007), e poi appunto gli elicotteri.
Qualche anno fa ha condotto un programma su Discorvey Channel Australia in cui parlava di aeroplani da guerra e commerciali. Una passione quella del volo che ha ereditato dal nonno che lo portava su per le nuvole dall’età di 6-7 anni: “Sì, non vedo l’ora di prendere la mia patente per pilotare con elicotteri commerciali. Mi occuperò di portare turisti in giro, o aiutare lo spostamento di merci e anche attività di supporto in situazioni di pericolo come la ricerca di persone scomparse o incendi etc. Poi ho anche dei viaggi in programma nel 2016, come seguire la mia ragazza (Gemma Flyn giocatrice titolare della Nazionale di hockey su prato) in varie competizioni, per esempio andrò a tifare per lei alle Olimpiadi in Rio, cosa che non ho mai potuto fare prima e non vedo l’ora. Mi piace molto l’idea di avere finalmente flessibilità nelle mie scelte, in ciò che voglio e posso fare”.

 

La vita di un giocatore di rugby di queste proprozioni comprende una valigia sempre piena. Ore ed ore di aerei, timbri su passaporti, climi e temperature diverse ed hotel a 5 stelle. Eppure lo sappiamo, a volte non c’è cosa più noiosa che viaggiare con una squadra sportiva e passare dalla camera di hotel allo stadio e viceversa per l’intera settimana. Di sicuro Richard ha avuto modo di guardare fuori dal finestrino del suo autobus e magari venire catturato dalla bellezza di una città o di un paesaggio e decidere di tornarci prima o poi come turista: “Guarda, mi è piaciuto molto questo viaggio che ho fatto nell’America del Sud. Per cui è sicuramente tra le aree che voglio visitare. Inoltre sono innamorato degli Stati Uniti. Ho avuto un piccolo momento negli USA nel 2013 durante il mio anno sabbatico, ma li ci sono 50 stati. Mi piacerebbe viaggiarli in lungo e largo, magari un coast to coast. E poi non sanno molto di rugby, quindi posso veramente essere giusto me stesso, nel completo anonimato!”. Vero ma solo fino a quando un kiwi (che sono ovunque) non lo riconoscerà.

 

Non che Richard scappi dall’amore e pressione del publico: “Di sicuro nell’ultimo mese non sono certo fuggito davanti al publico che mi aspetta e vuole una foto o un autografo, anzi mi sono buttato ovunque. E’ molto meglio essere voluto che non essere voluto, ti posso assicurare. L’importante è non deludere chi è lì e ti aspetta e assicurarsi di fare tutto con divertimento anche in momenti del genere. Però nei prossimi mesi non aspetto altro che andare nella mia casa nell’isola del sud e rilassarmi”.
E ritorniamo a quella lacrima sul suo viso mentre era sul palco a ritirare il premio come migliore team dell’anno. Abbiamo seguito Richie McCaw in tante conferenze stampa negli ultimi quattro anni per OnRugby. Lo abbiamo visto duro, concentrato, presente, leader, forte, sempre con un timbro di voce che emanava sicurezza, capacità, consapevolezza. Lo abbiamo trovato in questa ultima conferenza stampa come capitano degli All Blacks finalmente lui, umano ed emozionato, sorridente, in pace con il mondo. Con gli occhi lucidi di un bambino che ha avuto tutto da questo magnifico sport e che ci ha dato ancora di più per quasi metà della sua carriera stellare. Genuinamente, ci mancherai Sir Richard, ma abbiamo già prenotato un volo con il tuo elicotero a Christchurch, ah!

 

di Melita Martorana

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