Legati da una palla ovale, legati dalla vita: Bona ricorda Altigieri

La scomparsa dell’ex pilone ha colpito tutto il rugby italiano. Marco Pastonesi ha raccolto una testimonianza unica

ph. Henry Browne/Action Images

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Ieri è morto Anacleto Altigieri, pilone sinistro, 27 “caps” con la Nazionale. Altigieri-Paoletti-Bona equivaleva al Sarti-Burgnich-Facchetti: il primo respiro di una formazione, ma anche di una storia e di una grammatica, di una preghiera o di una minaccia. Altigieri rappresentava, interpretava, era anche un rugby: né migliore né peggiore, ma certamente diverso da quello di oggi. Questa è la prima puntata di un breve viaggio in quel rugby, nel rugby di quell’epoca, e di quei valori

 

Era il suo braccio sinistro. Ed erano così uniti – dentro e fuori, sopra e sotto, su e giù – da non avere neppure bisogno di legarsi. Ambrogio e Anacleto. Ambrogio, pilone destro, numero 3, e Anacleto, pilone sinistro, numero 1. Ambrogio, il milanese, e Anacleto, il tuscio, l’etrusco, il romano, tutto. Ambrogio, il tecnico, e Anacleto, l’erculeo, il selvaggio, l’istintivo, il naturale, l’animale, tutto. Ambrogio, che Altigieri lo chiamava Anacleto, perché di Anacleto ce n’era uno solo, ed era lui, e Anacleto, che Ambrogio lo chiamava Bona, perché a dire Ambrogio gli s’ingarbugliava la lingua e invece a dire Bona gli scivolava via.
Ambrogio e Anacleto, sette anni, dal 1973 al 1979, dentro e fuori, sopra e sotto, su e giù, braccio destro e braccio sinistro, insieme. Ambrogio, di Anacleto l’erculeo: “Uno e ottanta per centosei-centosette chili. Inamovibile, indistruttibile, devastante. E veloce. I piloni avversari soffrivano, non reggevano, si alternavano. L’unica regola, nelle mischie chiuse, era che non si doveva più conquistare la posizione a capocciate. Ma non è come adesso, che l’arbitro ti dice attenzione, abbassati, legati, entra, fa’ il bravo, grazie prego scusi ma-le-pare, come se ogni partita sia il giorno della prima comunione.

 

Italia-Argentina a Rovigo, 1978. Pierre Villepreux ci svela, descrive, spiega la mischia dei Pumas, in particolare la filosofia e i segreti della ‘bajadita’. Alla fine Anacleto mi fa: ‘Bona, ma che è ‘sta bajadita?’. ‘Ecchenesò, Anacleto, ma pare che ci ammazzino’, sintetizzai. E lui: ‘Mo’ je famo vede noi’. Glielo facemmo vedere: 19-6”.
Ambrogio, di Anacleto il selvaggio: “In trasferta, in pullman, con l’Algida. Lo tiravamo su a Orte. Lui saliva, si sedeva dietro l’autista, allungava il sedile e leggeva Topolino. Topolino era la sua sola, unica, esclusiva lettura. Da dietro si sentì, distintamente, l’annuncio: ‘E’ salito il professore’. ‘Chi è stato?, mi domandò Anacleto. ‘Ecchenesò’, gli risposi cercando di prendere tempo, farlo calmare e salvare una vita. ‘Vojo sape’ chi è stato’, ribadì Anacleto. ‘Chi è stato?’, indagai bonariamente rivolgendomi dietro, dove stava gente come Rocco Caligiuri, Fabrizio Gaetaniello e Mariano Falsaperla, che aveva il culto del ridere e scherzare.
Allora non esistevano cuffie né telefonini: o si giocava a carte o si dormiva. Rocco – era stato lui – indicò Sandro Pagni, un diciannovenne timido e imberbe. Anacleto catturò Pagni, lo imprigionò sotto il braccio e gli scrocchiò il collo. Risultato: Pagni non poté allenarsi né giocare per un mese e ancora adesso, quando cambia il tempo, sente dolore al collo”.

 

Ambrogio, di Anacleto l’istintivo: “Brescia-Roma, a Brescia. Meta del Brescia e, per la trasformazione, noi dietro i pali. E dietro i pali la rete, altissima. E dietro la rete il pubblico, bresciano. Uno del pubblico, sentendosi al sicuro dietro la rete, scandì: ‘Altigieri, tua madre è una puttana’. Anacleto non ci pensò su un attimo e si arrampicò sulla rete. ‘Rocco – gridai a Caligiuri – fermalo!’. Rocco prese Anacleto per i pantaloncini, gli scoprì le chiappe e, sorpreso, esclamò: ‘Anacle’, ma ciài er culo pieno de pedicelli’. Fra il terrore del pubblico e il ridicolo delle chiappe, l’arbitro, credo Pieregidio De Laude, mi ordinò: ‘Bona, lo porti fuori’. ‘Non ci penso proprio’, gli risposi, perché fermare Anacleto era impossibile e pericoloso. ‘Ci penso io’, giurò Salvatore Bonetti, grande e grosso, non a caso detto Nembo, e si avventò su di lui. Anacleto gli dette un destro, una pizza, che Nembo se la ricorda ancora adesso”.

 

Ambrogio, di Anacleto il naturale: “Con l’Italia, in ritiro, a colazione. Tutti presenti tranne uno: Anacleto. Roy Bish mi chiese dove fosse, gli risposi che stava dormendo, che non c’era bisogno di svegliarlo, che tanto, lui, Anacleto, la colazione non la faceva, anzi, non l’aveva mai fatta. ‘Sveglialo’, mi comandò Bish. ‘Io no, non ci penso neanche, semmai fallo tu’. Bish salì in camera e io dietro. Fuori dalla porta della stanza lo avvertii: ‘Se proprio vuoi svegliarlo, a tuo rischio e pericolo, sveglialo, ma non togliergli la coperta’. Bish entrò e gli tolse la coperta, poi si girò per uscire. Anacleto impugnò uno dei suoi scarponi, glielo lanciò, lo colpì alla testa, poi si tirò su la coperta e ricominciò a dormire”.

 

Ambrogio, di Anacleto l’animale: “Italia-Francia all’Arena di Milano, 1976. Durante il ritiro, la madre aveva avvertito Anacleto che la scrofa aveva fatto i piccoli. Dopo la partita, accompagnai Anacleto a casa, a Oriolo. Salutò la madre, si mise gli scarponi ed entrò nel porcile per controllare i piccoli. La scrofa, per difendere le sue creature, gli morse la caviglia, ma addentò gli scarponi. Anacleto si chinò, le rifilò un cazzotto in fronte, e la stecchì. ‘Anacleto – gli dissi, impressionato -, ricordati che io sono il tuo grande amico, e sempre lo sarò’”.
Anacleto che era barba incolta e capelli lunghi, scarponi e maglione, che quando andava a caccia di cinghiali stava via anche una settimana, che nel nobile circolo dell’Aniene fu invitato a entrare dalla porta sul retro e invece lui entrò da quella principale lasciando orme di fango e zaffate di pollai, che traversino per traversino costruì – da solo o quasi – la ferrovia da Oriolo a Viterbo, che ha giocato 27 volte (e vinte 12) in Nazionale, che le sue vecchie maglie da rugby le ha consumate un po’ da contadino e un po’ da muratore.
Anacleto che andava all’allenamento, da Oriolo a Roma, 50 chilometri, in Ape. Anacleto che, a un allenamento al Flaminio, andò con la sua Ford Capri ocra, dal cofano spuntava dell’erba, lui aprì il baule, uscì un odore bestiale, si era scordato una sacca di fertilizzante e dentro la macchina era cresciuto un prato. Ambrogio, di Anacleto: “Era bello così. E purtroppo, così, non li fanno più”.

 

di Marco Pastonesi

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