Dalla Vodacom Cup al quarto posto alla Coppa del Mondo, da uno spogliatoio spaccato in clan a un gruppo di uomini fedeli
“Stiamo lavorando bene e l’arrivo fra le prime quattro lo certifica. Abbiamo invogliato i nostri tifosi a viaggiare per noi nell’edizione dei Mondiali più bella di sempre, ne siamo molto contenti e non nascondiamo che avremmo voluto regalargli anche qualcosa in più, ma questo è il rugby”. E poi ancora: “Adesso abbiamo un progetto in forte espansione e l’ingresso nel Super Rugby non può che aiutarci a sviluppare tutti gli aspetti, compresi quelli fuori dal campo”. Così la truppa Pumas si presentava alla stampa argentina al termine della più che positiva esperienza iridata, culminata con un quarto posto arrivato dopo una splendida prestazione contro l’Irlanda ai quarti di finale. Ma, soprattutto, al termine di un torneo che ha certificato la bontà del lavoro intrapreso dall’UAR e portato avanti da professionisti di primo livello. Tra questi c’è l’head coach Daniel Hourcade, che dalle pagine del numero di gennaio di Rugby World ha ripercorso dal suo punto di vista questi ultimi anni. Partendo proprio dalla semifinale persa contro l’Australia alla Rugby World Cup 2015. “L’ho rivista 46 volte – esordisce il tecnico di San Miguel de Tucumán, inserito nella short list di World Rugby Coach of the Year 2015 – e più la vedo più penso che potevamo vincere. Abbiamo concesso due mete all’inizio, e abbiamo permesso loro di dominare il breakdown troppo tempo. ma abbiamo anche fatto 13 break, siamo stati meglio nelle fasi statiche…Ma sono contento per il gioco espresso, è stato propositivo”.
Il cammino di Hourcade nell’alto livello argentino è iniziato nel 2010 dopo l’esperienza con le nazionali portoghesi, quando Augustin Pichot lo volle come allenatore sia dei Jaguars sia della rappresentativa albiceleste in Vodacom Cup. “Ma non pensavo mai a diventare allenatore dei Pumas, perché non dipendeva da me e non volevo sentirmi frustrato. Ero felice per dove ero”. La svolta arriva quando nell’ottobre 2013 Phelan se ne va prima della scadenza del suo contratto e a poche settimane dal tour di novembre di quell’anno, pare anche per uno spogliatoio diviso in tre clan. La Federazione già aveva fatto la sua scelta, come ricostruisce Hourcade: il nome in pole era quello di Cheika, ma serviva un coach pro tempore per quelle partite (tra cui quella vinta contro l’Italia) e si scelse proprio Hourcade. Nonostante le due sconfitte contro Inghilterra e Galles, qualcosa era stato aggiustato tanto che venne offerto ad Hourcade di allenare la squadra alla RWC 2015. E a questo punto arriva la prima vera decisione: togliere i gradi a Lobbe (uno dei leader di una parte di spogliatoio) per affidarli a Creevy. “Juan Martin capì subito i miei motivi, e divenne subito un soldato fedele e non smetterò mai di ringraziarlo. Conoscevo Creevy dai PampasXV, è una gran persona e un gran capitano”. Ristabilite le gerarchie, serve il ricambio: “Dovevamo aumentare la base di giocatori internazionali e dare ai più giovani le loro opportunità. Avevamo un piano, che cambierà per i Mondiali del 2019”. In quelli anni c’è anche il continuo confronto con i colleghi. Ho ascoltato molto i consigli di Meyer e Cheika, incontrato prima che divenisse coach dei Wallabies: “Con i Jaguars siamo stati ai Waratahs, abbiamo imparato tantissimo dagli allenamenti di Cheika: è sempre stato aperto e amichevole con noi”.
Fatta la squadra, servivano gioco e risultati, che arrivano grazie alle sfide nel Championship in cui Pumas acquisiscono competitività partita dopo partita, per divenire squadra tosta per tutte le europee che la affrontano nei tour. E la consacrazione porta ad una gran Coppa del Mondo, che in termini di risultati è andata peggio del 2007 ma che rispetto a quella acquisisce un significato fatto di sana programmazione e non di estemporaneo exploit, come fu in parte il terzo posto francese. “Il nostro game plan era semplice: usare tutte le nostre armi, giocare punti d’incontro veloci: e per farlo serve preparazione atletica, continuità e set pieces di qualità […] Lavoriamo dieci volte di più dei nostri avversari per preparare una partita, abbiamo tanto da fare”.
Nel futuro del rugby argentino c’è ora il Super Rugby: “Ogni anno i nostro giocatori avranno 27 match di prima fascia: con più esperienza, non possiamo che crescere. Siamo un un buon momento, essere dove siamo è un sogno e vogliamo creare il migliore ambiente per creare ricordi che siano da subito positivi per i giocatori. Sarà una grande sfida per noi”. Nel futuro di Hourcade, invece, c’è stato il rinnovo ma (per ora) solo fino al 2017: “Non volevo costringere la UAR a legarsi ad un contratto lungo. Vedremo come andranno le cose dopo i prossimi due anni”.
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