Rugby e formazione: la soluzione semplice e impossibile si chiama scuola

Un ex All Blacks ci spiega la differenza tra i due emisferi. E indica una via che è però una rivoluzione culturale

ph. Paul Harding/Action Images

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Jason Eaton fa il seconda linea, è nato 32 anni fa a Palmerston North, in Nuova Zelanda, e prima di arrivare in Francia per vestire la maglia del La Rochelle (cosa che fa – bene – tuttora) ha indossato per 15 volte anche la divisa tuttanera degli All Blacks.
Interrogato da Midi Olympique sul dominio dell’emisfero sud certificato dall’ultimo Mondiale – se qualche distratto se ne fosse dimenticato tutte e quattro le semifinaliste venivano da quella parte del globo – ha dato una risposta semplice, ovvia e concreta, ma davvero difficile da replicare nella Vecchia Euriopa. Il segreto, ha detto, è che nel sud di Ovalia e soprattutto in Nuova Zelanda, praticamente tutti giocano a rugby: uomini, donne, bambini. Tutti. Giocano nelle scuole, giocano nel tempo libero, giocano quando vanno al parco con amici e famiglia. Senza placcaggi, con un’aggressività molto contenuta e senza alcun assillo del risultato. Si gioca per il puro piacere di giocare.

 

“Il fattore determinante – dice il giocatore al magazine transalpino – è che il rugby è praticato ovunque nel sud del mondo. E’ perfettamente integrato nel sistema scolastico e questo è importantissimo perché è a quell’età che impari a passare, a guardarti attorno, a cercare di imitare i tuoi idoli sportivi che vedi in televisione: provate ad andare in una qualsiasi scuola neozelandese e scoprirete quanti emuli di Sonny Bill Willianms ci sono! Facendo un paragone con la Francia qui si gioca molto meno, o si inizia più tardi”.

 

Poi torna sul legame tra la scuola e la palla ovale: “Non sono un profondo conoscitore della realtà francese ed europea, ma mi pare evidente che da noi i giovani hanno più chance di giocare e che qui in Europa i club sono sostanzialmente tagliati fuori dalla scuola“. Una presenza che va oltre la mera esistenza delle squadre delle high school: “In Nuova Zelanda siamo fieri di vestire le maglie dei nostri licei, ma noi giochiamo sempre, letteralmente. Alla fine dei corsi, nell’intervallo… il rugby è onnipresente e i tornei scolastici sono vissuti e sentiti come dei grandi eventi che danno un ritmo a tutto l’anno scolastico”.

 

Quella quindi la via da seguire: “Secondo me non è un caso che in Francia se vuoi giocare a rugby ti devi iscrivere in un club, altrimenti non ci sono altre possibilità. Integrare scuola e rugby è un passaggio importante per innalzare il livello del movimento. Non è una cura miracolosa, ci vorrà tempo, ma i ragazzi inizieranno a giocare prima. Guardate anche  l’Australia, il rugby a XV lì non è lo sport principale ma l’integrazione e la predisposizione tra scuola, sport e cultura sportiva è molto forte: nelle scuole pubbliche si gioca più rugby a 13, in quelle private di più a 15, ma giocano e il loro sistema di preparazione è performante. Che si giochi con un codice o con un altro alla fine è relativo, e poi c’è anche l’Aussie Rules, il calcio… tutti sport che possono servire nel formare un rugbista”.

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