Brunel e il suo ultimo Sei Nazioni azzurro: “Non faremo esperimenti”

Il ct rilascia una intervista e non si nasconde: “Non possiamo permettercelo”. Bilanci rimandati a fine torneo

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Oggi pomerigio, attorno alle ore 15, conosceremo i nomi dei giocatori che faranno parte del gruppone azzurro che preparerà il Sei Nazioni 2016. Ultima volta nel torneo con una nazionale italiana guidata da Jacques Brunel che forse sarà presente anche nel tour estivo, ma che comunque a partrire dal primo luglio sarà sostituito.
Il ct ha rilasciato una lunga intervista al mensile All Rugby nel quale rimada i bilancia alla fine del Sei Nazioni: “Se dovessi ricominciare ora qualcosa lo cambierei – chiosa il tecnico francese – ma è normale no? Abbiamo fato un percorso forse poteva essere migliore. Però guardare indietro non serve”.
Sul torneo che per noi inizierà il 6 di febbraio a Parigi contro la nuova Francia di Guy Novés è molto chiaro: “Non faremo sperimentazioni, non possiamo permettercelo. Per farlo servono giocatori di esperienza nelle franchigie che siano disponibili per la Nazionale e noi non ne abbiamo tanti ad alto livello. La base non è larga. La nostra ambizione sarà di fare qualche risultato con i giocatori che già conosciamo, inserendo di volta in volta i giovani che l’esperienza devono farsela. Ma quello che mi preoccupa di più sono gli infortuni”.
Italia fuori dal Sei Nazioni? “Non capisco perché in Italia dobbiamo vedere la questione in questo modo. Io in quattro anni non sono mai arrivato ultimo (in realtà sì, una volta, nel 2014, ndr). La Scozia arriva quasi sempre ultima ma non si pone il problema”.

 

Mette la parola fine ai non molti ormai che speravano in una chiamata di Festuccia (“Ha 33 anni, non può essere il futuro. Tebaldi? Non gioca da nessuna parte da due anni”) ma poi rileva anche che alla fine il gap tra l’Italia e il resto d’Europa è forse meno profondo di quanto non si pensi: “Non siamo così distanti dai migliori. In quattro anni abbiamo perso tante partite che avremmo potuto vincere. Sconfitte di 5-6 punti di scarto, una punizione contro, un drop, un errore commesso quando si poteva evitarlo. (…) Vincere è una questione di abitudine”.
Quindi il Movimento Italia, con un Pro12 che è da tenersi ben stretto: “Guardiamo in faccia la realtà: in Eccellenza ci sono 4-5 quadre competitive, forse 6, le altre soffrono per problemi di soldi, strutture, di giocatori. Che campionato si può fare con 6 squadre? La Celtic league è una bella competizione, lì si gioca ad alto livello. Per noi italiani non è facile da un punto di vista organizzativo ma è un passaggio obbligato. Prima occorre stabilizzare le due franchigie, creare la fiducia necessaria a confrontarsi con le altre (…) è fondamentale integrare più italiani possibile. Cercare lo straniero va bene, se è giovane e in futuro può diventare disponibile per la Nazionale, altrimenti non ha senso”.

 

Allargando il discorso al Mondiale sottolinea che “non c’è stata prevalenza dell’emisfero sud: la Scozia non è andata in semifinale per un in avanti che non c’era, il Galles ha rischiato di battere il Sudafrica. Tutte le squadre però hanno mostrato grande ambizione sul piano del gioco. Tutti oggi vogliono creare gioco, usare il apllone, alternare varie soluzion. In una frase: imporsi sull’avversario”.
Poi, dopo aver detto la sua su chi fa paragoni tra il nostro movimento e quello argentino (“Chi fa questi paragoni non capisce di rugby. L’Argentina non ha nulla a che vedere con l’Italia. E’ una tradizione diversa”) dà qualche giudizio sulle nuove forze di Ovali: “La Georgia è lì, può fare progressi. Gli USA e il Canda scontano la mancanza di un campionato di alto livello, se avranno mezzi e voglia nel giro di 10 anni potranno fare grandi passi avanti”.

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