Da Gossolengo a Roma, da portiere a pilone: ritratto di Andrea Lovotti

A poche ore dalla sfida con l’Inghilterra, Marco Pastonesi ha incontrato il giocatore delle Zebre e della Nazionale

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Mentre a Roma, stadio Flaminio, ventunmila spettatori, l’Italia debuttava nel Sei Nazioni battendo la Scozia, a Gossolengo, sette chilometri da Piacenza, campo comunale, un ragazzino di undici anni cercava di capire perché quel pallone fosse ovale e non rotondo come finora era stato nella sua breve carriera di calciatore. Era il 2000.

Domenica a Roma, stadio Olimpico, settantamila spettatori se non di più, l’Italia del rugby si fonderà su quel ragazzino, che adesso è un parallelepipedo di 1,84 per 111 chili, 44 e mezzo di piedi, e che continua, 16 anni dopo, a indossare la maglia numero 1: da portiere, neanche tanto scarso secondo autocertificazione, a pilone sinistro, universalmente giudicato la rivelazione del match di sabato scorso contro la Francia.

Il rugby di Andrea Lovotti – “Lovo”, più diminutivo che soprannome, che se fosse stato toscano avrebbe avuto un profetico senso rugbistico – è cominciato a scuola: “Quando un allenatore del Gossolengo è venuto a predicare passaggi e placcaggi, spiegare calci e touche, segnare e sognare mete. A me, da portiere, piaceva uscire e buttarmi. Da rugbista, ho scoperto che avrei potuto farlo comunque. E che non avevo paura, ma anzi, piacere. Sarà per questo che con il rugby è stato amore a prima vista”. Il Gossolengo Rugby si chiama Elephant: non per le dimensioni dei giocatori, ma perché si ritiene che il femore (“osso lungo”, da cui Gossolengo) ritrovato durante scavi archeologici potesse appartenere a uno degli elefanti con cui Annibale aveva varcato le Alpi.

Da terza a tallonatore, infine a pilone, “Lovo” dice che “il bello del pilone è la sfida fisica, ma anche tecnica, è – allo stesso tempo – una lotta personale e di squadra”, “il ruolo del pilone è sempre quello, ma le sue caratteristiche sono cambiate, evolute, perfezionate, i piloni di oggi sono più alti e più mobili, io ho dovuto adattarmi cercando di diventare anche più solido” (“Lovo” sodo), “la prima mischia della partita è indicativa, ma non definitiva, c’è tutto il tempo per modificare assetto e impatto”, “dopo ogni mischia i piloni hanno meno gambe”.

E’ come se “Lovo” stia scoprendo il mondo: “Il Sei Nazioni è un altro mondo. Altro livello, altra categoria. Tutto è più organizzato, tutto è più imponente”. Lui che non ha eredità ovali (“Mio papà, Massimo, da ragazzo aveva fatto qualche allenamento di rugby, ma era finita lì”), lui che le partite del Sei Nazioni finora le aveva viste solo in tv (“Ma qualche test-match anche allo stadio”), lui che adesso dorme in camera con Haimona (“Stesse squadre, stessi club”), lui che sul bus diretto allo stadio va senza cuffie (“Sono tranquillo, tranquillo fino a un certo punto, anche così”), lui che con i pari ruolo non sente rivalità ma, semmai, complicità (“Zanusso? Mi è anche molto simpatico”), lui che dopo la vittoria soltanto sfiorata contro la Francia fatica a dimenticare (“Quando ci penso, sento ancora una spina nel cuore”), lui che, se dovesse riassumere tutta la sua terra, la sua gente, la sua storia, allora “anolini in brodo: emblematici”, cioè pasta all’uovo con ripieno di stracotto di manzo e brodo ricco meglio se di cappone.

Il nostro numero 1 è pronto: “Ho recuperato fisicamente, mi concentro mentalmente. Dopo Slimani, affronterò Cole. Il suo forte? La sua forza. Il suo debole? Spero di trovarlo in partita”. All’Olimpico ci saranno papà Massimo, mamma Marina, la sorella Marina, la fidanzata Giuditta e amici, per i quali “Lovo” ha comperato e regalato biglietti in Tribuna Monte Mario, e giocatori del Gossolengo. Piccoli elefanti crescono.

Marco Pastonesi

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