Marco Pastonesi scatta una fotografia a una delle protagoniste di Ovalia che tra qualche giorno ci attende al Sei Nazioni
Tifiamo Scozia perché la Scozia è stata la prima a entrare in campo, era contro l’Inghilterra, il 27 marzo 1871, a Edimburgo, nel cricket club degli Academicals, un rettangolo verde di pioggia e vento, quattromila curiosi e patrioti a incorniciarlo, venti in maglia bianca con una rosa al petto e già prima di cominciare la puzza sotto il naso contro venti in maglia marrone con un cardo al petto e una camicia bianca da cricket e alla fine un po’ di puzza addosso, in due tempi di cinquanta minuti ciascuno, gli scozzesi la chiamavano la caccia al pavone, invece fu una battaglia cavalleresca, fantesca e fanticida, finì con la Scozia vincitrice 1-0, a quel tempo valevano soltanto i calci, e le mete servivano a tentare (“try”) la decisiva trasformazione (la partita di ritorno, giocata l’anno dopo a Londra, fu vinta dagli inglesi, ma fate finta che questo non lo abbia scritto).
E a proposito, tifiamo Scozia perché nel Torneo 2016 l’Under 20 della Scozia ha battuto l’Under 20 dell’Inghilterra 24-6, quattro mete a zero, il massimo della vita, almeno per uno scozzese.
Tifiamo Scozia perché scozzese era Ned Haig, professione macellaio, non sul campo ma in una bottega, inventore del rugby a sette facendo, di necessità, virtù, regole e storia, perché scozzese era Jock Wemyss, pilone, che aveva perso un occhio durante la Prima guerra mondiale, e a chi gli chiedeva quanti errori avesse commesso giocando, rispondeva, con eleganza e ironia, che ne aveva visti solo la metà di quelli che gli attribuivano, perché scozzese è Jim Telfer, giocatore allenatore guru tutto, che sostiene come nel rugby la parte più importante siano i giocatori, e come i giocatori siano uomini, e come gli uomini siano anima e non solo corpo, perché lo stesso Telfer sostiene che “otto giocatori in una ruck sono pura poesia in movimento”, perché scozzese è Gavin Hastings, 61 “caps” e 667 punti e 20 volte capitano, che ancora oggi, ogni volta che la Scozia perde, gli va di traverso la Luna e indigesto il mondo, ma quando giocava gli durava una settimana, adesso soltanto una decina di minuti, forse il tempo di bersi una pinta.
Tifiamo Scozia perché il suo rugby sa di cornamuse e di maul, di kilt e di ruck, di “fish-and-chips” e di “pick-and-go”, di “borders” e di “highlands”, di McGeechan e di tutti i Mc di questo mondo, compreso Richie McCaw, che qualche centilitro di sangue scozzese deve ancora riscaldarlo dentro, perché la Scozia è stata l’ultima a cedere alla numerazione delle maglie (“Che bisogno c’è?”, si chiedevano, “siamo a una partita di rugby, non al mercato del bestiame”).
E a proposito, tifiamo Scozia, e con la Scozia gli All Blacks, perché gli All Blacks sono scozzesi che hanno imparato a vincere.
Tifiamo Scozia perché della Scozia fa parte anche Chris Fusaro, terza ala dei Glasgow Warriors, mamma – Judith – scozzese, e papà – Luigi – italiano, originario di Cervaro, vicino a Monte Cassino, provincia di Frosinone, si narra fondata addirittura da Enea. Da piccolo, tutte le estati Chris veniva in Italia, e di quelle vacanze ricorda il cibo, buono, e il sole, forte, e forse anche il pallone, ma rotondo e non ovale.
Tifiamo Scozia perché la leggenda vuole che il cucchiaio di legno sia conservato in un misterioso castello delle Orcadi, e su quel cucchiaio che premia la prima del Sei Nazioni – ma a cominciare dal basso, una specie di maglia nera al Giro d’Italia – vantiamo ormai un consistente diritto di usucapione (10) vagamente minacciato proprio dagli scozzesi (4).
Tifiamo Scozia in omaggio alla Calcutta Cup e in onore della Triple Crown, per merito del whisky e per colpa della doccia, per il gemellaggio economico con i genovesi e per la complicità poliziesca con Sir Arthur Conan Doyle, e per la passione verso quel Blue Navy delle maglie che sa – allo stesso tempo: un naturalissimo “up and under” – di cielo e di mare.
Ma ogni anno c’è un giorno in cui non tifiamo, non possiamo proprio tifare per la Scozia. Il giorno di Italia-Scozia. Sperando che l’azzurro sia più forte e più intenso del blu.
di Marco Pastonesi
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