L’Italia Emergenti presentata da Carlo Orlandi, tra alto livello e livello alto di gioco

Il Responsabile Tecnico ci spiega importanza e obiettivi della selezione. Capitan Conforti parla invece del ritmo gara…

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

BUCAREST – Giovedì scorso la Nazionale Emergenti ha esordito alla Nations Cup 2016 battendo l’Uruguay 26-24 e dedicando la vittoria a Luca Sisti, a quasi un anno di distanza dalla scomparsa del video-analyst delle Zebre e della selezione azzurra. Una partita in cui intensità e minutaggio effettivo di gioco si sono fatti sentire, anche se non soprattutto per effetto del nuovo regolamento della mischia ordinata esteso da World Rugby all’Emisfero Nord a partire dal primo giugno. A distanza di qualche ora dal match, abbiamo incontrato il capitano Federico Conforti e il Responsabile Tecnico Carlo Orlandi, sentiti anche nell’immediato dopogara. Con il primo abbiamo parlato proprio dell’alta intensità della partita contro l’Uruguay (un dato su tutti, i 36 minuti di gioco effettivo) e di come questa ha influito sul match, con il tecnico invece dell’importanza della selezione Emergenti, delle sue caratteristiche e dei suoi obiettivi. Ricordiamo infine che il secondo impegno della Emergenti alla Nations Cup 2016 è previsto per questo’oggi lunedì 13 giugno contro l’Argentina XV con kick off alle 15 italiane (qui formazioni e presentazione).

 

 

Federico Conforti

Hai ripensato al momento di sbandamento avuto a metà della ripresa?
Nei momenti di difficoltà siamo tornati a pensare a livello individuale, come per esempio l’organizzazione delle guardie che i vari club affrontano diversamente. Questa instabilità è dovuta anche alla stanchezza, che dipende da quanto detto a proposito dal minutaggio.

 

Come ti sei trovato a giocare con le nuove regole e quanto possono influire sul gioco?
Personalmente le nuove regole sono piacevoli da giocare e credo anche da vedere. Dobbiamo essere bravi a far sì che per le partite successive diventino un punto di forza e non a sfavore. Giocare una partita con più minutaggio, più possessi e con l’ovale che si muove maggiormente è piacevole, ti fa sentire più coinvolto. Da mischia ci sono meno reset e più lanci del gioco: tutto ciò dà spazio al gioco vero e proprio. Certo, comporta un grande carico sui piloni, ma credo che World Rugby sia alla ricerca del compromesso tra un concetto tradizionale della mischia ordinata e la necessità di avere più volume di gioco.

 

 

Carlo Orlandi

Emergenti coincide con giovani, o non necessariamente?
Il progetto Emergenti è per giocatori relativamente giovani: cerchiamo di essere una Under 23, perché chi esce da Accademie o Eccellenza e va verso l’alto livello di Pro12 e Nazionale non può avere tanti anni in più. Ciò non toglie che in certi ruoli qualcuno possa avere un’età maggiore, penso per esempio alla prima linea, ma serve anche una realtà di squadra in questi casi.

 

Qual è l’obiettivo di questa selezione?
La volontà è quella di dare la possibilità agli atleti di essere coinvolti ad un livello più alto e ad un ritmo a cui non tutti sono abituati. Contro l’Uruguay è stato così: abbiamo avuto 36 minuti di gioco effettivo, per fare una proporzione alcune partite della Nazionale Maggiore al Sei Nazioni non sono andate oltre 42, mentre invece una partita di Eccellenza ne ha meno.

 

Da allenatore, come si affronta la difficoltà di dover dare un’identità di gioco in pochi giorni a giocatori con background diversi?
La prima cosa è lavorare sulla squadra per riconoscersi in un gruppo unito e trovare identità. E’ necessario accettare certi principi di lavoro e sentirsi coinvolti come attore attivo: i ragazzi sono al centro di tutto. Poi si lavora su organizzazioni più semplici per cercare di non trovarsi in difficoltà sul campo. In questi giorni in particolare abbiamo lavorato soprattutto sulla difesa per cercare di salire e raddoppiare il placcaggio. Da questo punto di vista sono contento per l’aggressività ma è mancata a tratti la qualità del placcaggio: abbiamo invaso la linea del vantaggio ma senza essere efficaci nel placcaggio.

 

Una delle parole che più abbiamo sentito nelle prime settimane di gestione O’Shea è “fitness”. Come si affronta nelle Accademie la parte atletica?
La formazione cerca sempre di dividere il tempo in tre parti: tra queste, abilità tecniche e di ruolo e preparazione atletica sono basilari nel nostro programma. Poi c’è la parte di conoscenza del gioco e delle situazioni tattiche, nei confronti delle quali le abilità tecniche devono essere a servizio. Per quanto riguarda l’aspetto atletico devo dire che è considerato fondamentale e su di esso si è lavorato tanto soprattutto negli ultimi due anni: il rugby va verso tempi di gioco effettivi da 40 minuti e quasi 400 collisioni.

 

Cosa manca ancora per essere competitivi a livello giovanile?
Inghilterra a parte, fino all’Under 18 in Europa riusciamo a competere sia a livello fisico che di abilità, e devo dire che questa annata è particolarmente felice. Tra i 19 e i 23 anni dobbiamo trovare sinergie e creare momenti: proprio per questo è importantissimo il lavoro della Nazionale Emergenti.

 

E’ l’età in cui ci si fa le ossa in A-League o con gli Espoirs…
Mancano competizioni che comprendano questi ragazzi. Dobbiamo anche tenere conto che dei ragazzi dell’Under 20 pochi hanno ampio minutaggio in Eccellenza: non ne faccio assolutamente una colpa agli allenatori, ci mancherebbe, nel club ci sono tante dinamiche da considerare. Ma il risultato è che al di fuori delle Accademie non sono pronti all’altissimo livello giovanile.

 

Legare un’Accademia ad ognuna delle due franchigie celtiche è una soluzione?
Non è un passo facile, perché ogni progetto va valutato a 360°, capendo per esempio come gestire i rapporti con i club e le modalità di eventuale rilascio dei giocatori. E’ complesso ma ci si sta lavorando, perché credo che sia una strada da percorrere.

 

Di Roberto Avesani

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