Italia-Francia del Sei Nazioni 2011: una grande partita diventa l’occasione per parlare di un grande giocatore
“Ricordo che quel giorno l’Italia gioco benissimo, da vera squadra. Ma a lui andò il Man of The Match. Coraggioso nelle palle alte, pericoloso nei contrattacchi e decisivo con la meta. Quell’anno vinse anche il premio come miglior giocatore del Sei Nazioni: un enorme riconoscimento”. Roma, Stadio Flaminio, 12 marzo 2011: 14 anni dopo l’impresa di Grenoble, l’Italia batte di nuovo la Francia. Finisce 22-21 dopo una splendida rimonta e una sofferenza sportiva terribile nei minuti finali. Parole di Nick Mallett, al tempo allenatore della Nazionale italiana e che quelle emozioni le ha vissute da vicinissimo, come testimoniano le immagini della sua corsa liberatoria in mezzo al campo dopo il fischio finale di Lawrence. L’occasione per qualche domanda al tecnico sudafricano è stata proprio il ritiro di Andrea Masi, miglior giocatore non solo quel giorno ma anche in quell’edizione del torneo. Un ritiro che ha lasciato davvero l’amaro in bozza a tifosi e appassionati, che ne hanno sempre ammirato l’etica e la serietà nell’approccio al rugby, come testimoniano anche i tributi ricevuti dai numerosi colleghi italiani e non che negli anni e in giro per tutta Europa hanno incrociato il loro cammino ovale con quello di Andrea Masi. Attestati di stima, quelli di colleghi avversari o compagni di squadra, che valgono tantissimo. Respect, in un’unica, comprensiva, parola.
Si parla di Andrea come di un gran professionista…”Assolutamente sì. Era meticoloso tanto nella preparazione atletica quanto in quella mentale. Fuori dal campo lo ricordo una persona tranquilla, riservata, quasi timida. Ma in campo era un guerriero, coraggioso e totalmente dedito alla causa. Da allenatore, posso dire che lavorare assieme a giocatori di questo tipo è molto semplice”. Il discorso si sposta poi al valore per il gruppo, fondamentale in un quadriennio in cui furono molti i giovani ad esordire in maglia azzurra (per ricordarne alcuni, Garcia, McLean, Cittadini, Sgarbi, Gori, Favaro…). “Parlava con i fatti. A parole magari non era il più loquace, ma parlavano per lui l’attenzione che metteva in allenamento e le prestazioni sul campo: sicuramente tutto ciò è stato di ispirazione per i più giovani. Era già un giocatore con un bagaglio di rispetto, sapevano che in certe situazioni difficili si poteva contare su di lui: era davvero un ottimo esempio di ciò che serve fare per potersi dire un professionista”. Che giocatore gli ricorda? “Henry Honiball (35 caps con gli Springboks dal 1993 al 1999, quindi anche durante la gestione Mallett del Sudafrica): coraggioso e un ispiratore”.
Ma Masi centro? O estremo? O ala, o anche apertura? “Innanzitutto, allenare un giocatore che può ricoprire diversi ruoli significa che ha talento. Apertura, ala, centro o estremo che sia. Ecco, credo che quest’ultima sia forse la posizione più adatta. Quando sono arrivato nel 2007 sulla panchina azzurra non avevamo tantissime opzioni nella linea veloce, anche per diversi infortunati con cui abbiamo dovuto fare i conti. Avevamo bisogno di un giocatore con un buon piede tattico e giocò anche apertura seppure non fosse il suo ruolo naturale. Ora invece l’Italia ha giocatori più specifici per ciascun spot della tre quarti. Ma ripeto, il suo ruolo migliore era estremo: durante il mio quadriennio giocò grandi partite in quella posizione”.
Di Roberto Avesani
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