L’Inghilterra cresce e vuole il mondo: Dio ci salverà dalla Regina?

Il Sei Nazioni, la prima serie downunder, il Mondiale Under 20 e quello femminile. E uno stratega al timone della nazionale…

ph. Jason Reed /Action Images

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La settimana scorsa è stata quella della Brexit, il saluto (addio? O solo un arrivederci?) del Regno Unito all’Unione Europea. Ma la scorsa settimana è quella che ha suggellato il trionfo dell’Inghilterra targata Eddie Jones in Australia in una serie di test-match che sono serviti a misurare il polso di come sta il XV in maglia bianca con la rosa rossa sul petto. Beh, sta benissimo: 28-39 a Brisbane, 7-23 a Melbourne e 40-49 a Sydney. Un 3 a 0 secco in casa dei vice-campioni del mondo che in pochi avrebbero pronosticato alla vigilia. Un risultato che ha in qualche modo dell’incredibile perché quella che ha trionfato nel continente down-under – e qualche mese fa nel Sei Nazioni – è sostanzialmente la stessa che è uscita con le ossa rotte dal Mondiale casalingo dello scorso settembre/ottobre. Nel mezzo è cambiato solo, lo staff tecnico. Solo però è un eufemismo in questo caso, perché Eddie Jones ha rivoluzionato la testa dei giocatori, il piglio con cui si allenano e con cui giocano. Un’altra squadra, anche se gli effettivi sono quelli più qualche nuovo inserimento.

 

Su tutti Maro Itoje, prototipo del ball carrier del futuro capace non solo di creare lo spazio col fisico ma anche con gli offload e all’occorrenza di attaccarlo forte delle lunghe leve. Ma più in generale, impressiona la confidenza con cui si muovono in campo giocatori che non più tardi dello scorso apparivano contratti e come imprigionati nella paura di sbagliare. La terza linea Haskell-Robshaw, vera spina nel fianco dei Wallabies, che si danna l’anima sul breakdown e in difesa permettendo di schierare un primo centro non fisico come Farrell, che dalla piazzola ha offerto sicurezza e dato fiducia. E una schiera di giocatori, da Hartley a Brown passando per Billy Vunipola, che hanno le spalle abbastanza larghe per farsi rispettare su ogni campo.

 

Un capolavoro di Eddie Jones dicevamo, che sta costruendo una squadra in grado di poter battere gli All Blacks – lui è il primo a dire che ci vogliono ancora un paio di anni – non solo nel corso di una singola gara, ma di scalzarli dal tetto di Ovalia. E conquistare il Mondiale 2019 che si giocherà nel suo Giappone. Tutto quello che viene prima saranno tappe intermedie. E l’impressione è che i margini di crescita di questa Inghilterra siano davvero notevoli. Il gap nel ranking mondiale va erodendosi, non sarebbe stato male vedere uno scontro tra Nuova Zelanda e i sudditi di Sua Maestà a novembre, ma il calendario non lo prevede.
Ma questa sorta di primavera inglese non nasce dal nulla. Si dirà che è facile rialzarsi quando si è la federazione di gran lunga più ricca del mondo e quella che può contare sul maggior numero di tesserati: cose verissime, ma aspetti che sono reali oggi come lo erano negli scorsi anni, quando le cose non giravano bene.
Quella che non è mai mancata alla RFU, anche negli anni più difficili, è stata la programmazione: perché altrimenti non si spiegano i tre Mondiali U20 conquistati nelle ultime quattro edizioni del torneo, il trionfo al Mondiale femminile del 2014 che ha interrotto un lungo dominio neozelandese, o i quattro Sei Nazioni U20 vinti dal 2011 a oggi.
La strada non è breve e sarà irta di ostacoli, le cadute non mancheranno ma non saranno moltissime. L’Inghilterra vuole riprendersi il pianeta rugby: ce la farà?

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