In Inghilterra le società strappano un ricchissimo accordo con la RFU. Dalle nostre parti invece…
Facciamo il gioco “trova le differenze”: in Inghilterra siglato un accordo tra RFU e Premiership della durata di 8 anni e valido per oltre 200 milioni di sterline che la prima verserà alla seconda. Quali sono gli aspetti che sottolineano una marcata divergenza tra quello che avviene al di qua delle Alpi e al di là della Manica?
Vabbé, i 200 milioni di sterline sono fin troppo facili. Ma quella cifra – superiore al budget FIR di almeno 6 annualità – è figlia di un movimento che per storia, profondità e larghezza non è paragonabile a nessun altro al mondo, figuriamoci al nostro. Un gap talmente marcato ed eccessivo che diventa inutilizzabile sotto ogni aspetto. Gli unici in tutta Ovalia che possono ambire a numeri simili sono i francesi. Il succo quindi è: di cosa stiamo parlando? Prendiamo quindi quei 200 milioni e mettiamoli via.
Altra differenza: 8 anni di durata. Ecco, qui invece dei paragoni è possibile farli. Da noi è più facile incontrate per strada un unicorno a pois piuttosto che vedere o leggere di un accordo di quella importanza che copre un arco temporale così lungo. Ma non è solo un problema del rugby, è una cosa che riguarda un po’ tutti gli ambienti e i settori, un qualcosa che tocca la nostra cultura in senso lato: i bizantinismi alle nostre latitudini si sono sempre visti e sono parecchio apprezzati, accordi di lunga durata non consentono di tenere porte e finestre aperte. Dalle nostre parti 3/4 anni sono considerati già un’era geologica, 8 sono addirittura impensabili (eppure a volte sarebbero necessari).
E poi c’è il terzo punto, ovvero che a fronte dei due attori inglesi di questo agreement – la RFU e la Premiership – noi possiamo rispondere solo con uno, la FIR. Come è noto da noi la Lega dei Club è affondata sul finire della prima decade di questo secolo con la federazione che non si è certo prodigata per salvarla (ma d’altronde perché avrebbe dovuto farlo? Perché salvare un vero e proprio contropotere?), anzi, ma le prime responsabili sono le stesse società, tanto brave a curare il proprio orticello quanto poco propense a guardare al di là del proprio naso. Ma d’altronde non importa che il proprio giardinetto sia angusto, quello che conta è che quello del vicino non sia più grande. O no? Ragionamento forse molto pratico (la parola “forse” va sottolineata un migliaio di volte…) ma altrettanto ottuso e poco lungimirante. E di gran moda qui in Italia.
E in effetti non ci vengono in mente tanti club o presidenti che in questi anni ne abbiano parlato o che si siano prodigati per dare il via a una ricostruzione di quell’istituzione. Qualcuno, in qualche sparuta intervista ne ha fatto un qualche accenno che poi ha però lasciato il tempo che trovava. A ben vedere gli unici a parlarne con una certa continuità sono stati i media: noi di OnRugby sicuramente, ma siamo in buona compagnia.
Tra qualche mese ci saranno le elezioni federali, quale miglior momento per affrontare di nuovo l’argomento? Eppure spulciando i programmi dei contendenti solo Pronti al Cambiamento (che sostiene la candidatura di Marzio Innocenti) ne ha scritto nero su bianco. Ecco cosa leggiamo:
Promuovere la formazione delle Leghe delle Società come controparte e confronto dell’attività Federale.
Immediata istituzione della Lega delle società di Eccellenza, con compiti di gestione delle attività di marketing, sponsorship e merchandising del campionato, fino ad arrivare alla gestione del campionato stesso.
Favorire, nel breve periodo, anche il raggruppamento delle società di serie A e forme di scambio anche tra le società di B e C.
Rimuovere il pregiudizio culturale che considera le Leghe in antitesi alla Federazione, mentre devono essere considerate parte attive del progetto di crescita.
Dal sito di Terre Ovali o nel programma di Gianni Amore recentemente diffuso non abbiamo trovato nulla, almeno per il momento. Intendiamoci subito e sgombriamo il campo dagli equivoci: siamo certi che entrambe le realtà guardano con favore alla nascita di una Lega di Club, registriamo solo l’assenza dalla documentazione ufficiale scritta (e se la cosa invece ci è sfuggita ce ne scusiamo in anticipo).
A questo sito pare poi particolarmente importante il terzo punto sottolineato da Pronti al Cambiamento, ovvero l’aspetto culturale di una contrapposizione che dalle nostre parti è spesso stata intesa come una guerra per bande. Un approccio – anche qui – dal respiro molto corto e caratterizzante di tanti/troppi aspetti di un diffuso modo di essere italiani. E che ovviamente non può portare a grandi risultati: sarà una banalità, ma secondo voi i club inglesi senza una degna rappresentanza avrebbero mai strappato un simile accordo?
Ci ripetiamo: serve uno scatto da parte di tutto il movimento, non solo di uno o più candidati alla presidenza FIR. Quello della Lega Club è un tema-cardine per lo sviluppo del nostro rugby ed è la base tutta ad avere l’obbligo di farsene portatrice. Non si può attendere la federazione, che in questo senso non si muoverà mai per prima o in maniera autonoma, e va detto che non è nemmeno compito suo. E poi avete mai sentito parlare di divide et impera?
Il Grillotalpa
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