Prima la lista delle strutture che dovrebbero ospitare le gare della RWC 2023, poi l’annuncio di Terre Ovali
Due notizie importanti hanno interessato il rugby italiano nelle ultime ore.
La prima: la FIR ha ufficializzato i 12 stadi che saranno coinvolti nella RWC 2023, qualora World Rugby assegni all’Italia l’organizzazione dell’evento. Ci sono le principali strutture calcistiche del paese (Juventus Stadium a parte), le uniche che garantiscono la capienza necessaria. Il nome che ha colpito la fantasia di tutti è quello del Flaminio, da tanti ancora sentito come la “casa” della nostra palla ovale, il primo palcoscenico del Sei Nazioni. Stadio bellissimo, ma in condizioni che definire penose è fare un favore al dizionario italiano. Oltretutto al centro di una diatriba legale/burocratica che ne frena ogni tentativo di restauro, che comunque al momento non si vede all’orizzonte.
Ad ogni modo non si può sottolineare che la maggior parte degli stadi inseriti nella lista FIR hanno bisogno di interventi importanti: in ordine sparso ricordiamo Palermo, il San Paolo di Napoli, il Dall’Ara di Bologna, il Franchi di Firenze, Marassi a Genova, Padova e il San Nicola. Sono stadi che oggi a malapena possono ospitare dei test-match, impensabile che nelle condizioni attuali possano essere coinvolti in una qualsiasi partita iridata.
In Federazione lo sanno, ovviamente, e probabilmente si pensa di superare la prevedibile alzata di scudi da parte del calcio – inutile girarci intorno: i problemi ci saranno. Ci sono per una singola gara da giocare in un solo stadio in un singolo fine settimana di novembre in cui il campionato è fermo per la nazionale, figuriamoci se non ci saranno per un torneo che si disputa tra settembre e ottobre, nel pieno del campionato di Serie A e delle coppe europee– proprio con la “moneta” della sistemazione di un parco-stadi che tiene lontana l’Italia dall’organizzazione di grandi tornei anche nella palla tonda da tanti anni. A oggi le uniche strutture all’altezza sono l’Olimpico di Roma, il nuovissimo stadio di Udine, San Siro e l’Olimpico di Torino, e pure negli ultimi due qualche intervento non guasterebbe, anzi.
La seconda notizia a cui abbiamo accennato all’inizio è quella dell’ufficializzazione della candidatura di Luigi Fusaro per la corsa a presidente FIR da parte di Terre Ovali (guidata da Massimo Giovanelli) e Gianni Amore. Una carriera importante di management sportivo alle spalle (tra Puma e Federcalcio), Fusaro è il perfetto identikit della figura da tempo identificata proprio da Giovanelli che ha in mente una federazione che nella struttura ricalchi in maniera più definita quelle anglosassoni, dove il presidente è sostanzialmente un uomo di rappresentanza e con le leve del comando in mano a un CEO o a un amministratore delegato. Un manager insomma.
Tutto bene? No, non proprio. I tempi e i modi non ci sembrano quelli ideali: una simile rivoluzione copernicana – che, detto per inciso, proprio male non sarebbe – ha bisogno di un tempo ben superiore che non il mesetto che manca al voto federale. Va discussa, pensata e anche “digerita” da un mondo che per cultura ha sempre visto un presidente-padrone che comanda la baracca (scusate il francesismo). Tanto più che in questo caso si tratta di un manager sicuramente preparato ma che è molto poco conosciuto dal movimento che tra qualche settimana dovrebbe votarlo. E il problema – diciamo così – del presidente uomo solo al comando è un qualcosa di diffuso nello sport (e non solo) italiano: da anni in Federcalcio c’è chi prova a far passare l’idea del presidente manager, senza risultati.
La candidatura Fusaro andava probabilmente gestita in maniera diversa: farla arrivare da molto lontano nel tempo oppure imporre quella figura da parte di un presidente in qualche modo favorevole al tipo di sviluppo immaginato dal duo Giovanelli/Amore. Ovvero: l’iter ideale era quello di una introduzione di un manager di quel tipo da parte di un presidente appena eletto. C’è poi l’aspetto più prettamente politico della candidatura-Fusaro, che materializza in maniera plastica la spaccatura tra le opposizioni al presidente in carica, Alfredo Gavazzi. Pronti al Cambiamento ha da tempo annunciato la candidatura di Marzio Innocenti, ora il rischio di ripetere il film andato in scena 4 anni fa tra Amerino Zatta e Gianni Amore è altissimo: si può pensarla come si vuole, ma il 6% ottenuto da Amore nel 2012 costò l’elezione del presidente Benetton, con Gavazzi che ottenne poco più del 54% dei consensi. E con il 6% dei voti non si può pensare di poter andare molto lontano. La politica è fatta di idee, di strategie e di numeri. E se le prime due sono discutibili per natura, gli ultimi sono implacabili.
Le opposizioni sono divise e le indiscrezioni che raccontano di veti che non facciamo fatica a definire incomprensibili nei confronti della candidatura d’opposizione che va costruendosi da più tempo (quindi inevitabilmente più strutturata) da parte di chi è sceso in campo più recentemente non possono che trovare un sicuro spettatore felice: Alfredo Gavazzi.
Il Grillotalpa
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