Il ritorno della palla ovale ai Giochi può dirsi un esperimento positivo. Ma il vero sette non è 15-8…
Ci vorrà del tempo per capire quanta onda porterà con sé il ritorno della palla ovale ai Giochi Estivi dopo 92 anni di assenza, attraverso il torneo maschile e femminile di rugby Seven. Di certo tante cose resteranno impresse nel ricordo di chi le ha viste: alcune partite davvero entusiasmanti, il Giappone che batte la Nuova Zelanda, le Fiji che vincono la prima medaglia della loro storia, una proposta di matrimonio in stile RWC 2015, la foto collettiva tra Brasile e Argentina dopo le polemiche per le tensioni e gli sfotto tra tifosi su alcuni degli spalti olimpici, Sonny Bill Williams che esce dal campo dolorante, il canto finale delle Isole Fiji e i giocatori che si inginocchiano per ricevere la medaglia dalla Regina Anna. Quando Bill Beaumont dice che un’altra pagina nella storia del rugby è stata scritta, queste sono alcune delle foto che la accompagneranno.
Dove le cose non sono forse andate come previsto è stato dentro al campo, dal punto di vista tecnico. O meglio, non come forse ci si attendeva, a partire dalla Nuova Zelanda che si è dovuta accontentare del quinto posto: vero che l’eliminazione ai quarti di finale è arrivata proprio per mano di e compagni poi vincitori, ma resta il fatto che il gioco offerto anche nel Girone non ha entusiasmato. E, soprattutto, confermato che il rugby Seven non è un rugby a quindici giocato con otto cartellini rossi come per certe squadre è sembrato, ma una cosa completamente diversa.
Lo hanno dimostrato proprio le Fiji e anche Sudafrica e Australia, brave a pulire velocemente la palla sul breakdown, arretrare anche nei propri 22 aspettando la difesa fino a che un portatore decide di cambiare velocità e angolo quando individua uno spazio non solo attaccabile, ma anche esplorabile con un successivo offload. Per certi aspetti e dinamiche di costruzione dell’azione, più un touch rugby con il contatto (il meno possibile) che non il rugby Union giocato in sette. Vero che nei placcaggi e soprattutto nelle pulizie del punto d’incontro si vedeva eccome chi è abituato a giocare ad alto livello a XV, ma in generale l’esperimento di prendere atleti più o meno forti e adattarli non ha pagato i dividendi attesi. Un capitolo a parte meritano le Fiji: il rugby Seven sembra davvero quello più congeniale ai giocatori isolani, che se peccano nella disciplina e nell’ortodossia tattica fondamentali nel quindici non mancano certo in velocità e capacità di tener vivo l’ovale.
Ha divertito? Beh, dipende dai gusti personali, ma probabilmente più di qualcuno, neofita o esperto che sia, avrà apprezzato un offload da terra, un cambio di passo, un incrocio per liberare la superiorità o anche solo un tuffo in meta dopo corsa di 50 metri. Il bilancio può dirsi positivo e l’esperimento riuscito. Cosa ci lascia il primo torneo Seven olimpico di sempre? Le immagini di cui sopra, federazioni isolane che reclameranno sempre maggiore attenzione (come dichiarato dopo il lancio del Brisbane Global Tens) e, in generale, la sensazione che il rugby (soprattutto nella versione Seven) sia uno sport sempre più per tutti. E molte federazioni se ne saranno accorte e vorranno partecipare alla grande festa: la qualificazione a Tokyo 2020 sarà ben più impegnativa.
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