Per il vice Presidente di World Rugby è necessaria una centralizzazione. Altrimenti la coerenza…
Sta avendo non pochi strascichi la decisione di non citare Owen Franks per il caso di eye-gouging che lo ha visto protagonista nei confronti di Kane Douglas nel corso della sfida tra Nuova Zelanda e Australia. A tuonare è stato niente meno che Agustin Pichot, vice Presidente di World Rugby, che si è detto “mortificato” per la scelta. “Il processo è sbagliato – ha dichiarato a Stuff – A livello SANZAAR così come di Sei Nazioni dobbiamo trovare una nostra coerenza perché è questo che i tifosi vogliono: capire cosa sta succedendo e al momento nessuno è in grado di farlo. Non dico che Franks doveva essere punito, dico che serve coerenza”. E Pichot porta l’esempio del connazionale Mariano Galarza, costretto a saltare l’intera Rugby World Cup 2015 dopo aver ricevuto nove settimane di squalifica per un gesto simile (ma all’apparenza meno volontario e pericoloso) contro Brodie Retallick nel corso della sfida iridata tra Argentina e All Blacks. “Come faccio a spiegargli che lui ha dovuto subire quella squalifica e per un caso simile o anche peggiore nemmeno c’è stata la citazione? Cosa posso dire, da persona incaricata di amministrare il gioco? Sono completamente a disagio. Cos’è giusto? Dove sta la linea di confine?”
Il quadro dell’ex numero nove, 71 caps in maglia Pumas tra il 1995 e il 2007, si sposta poi al più generale discorso della difficoltà degli arbitri di dirigere incontri tra squadre non dell’Emisfero di appartenenza (o meglio di formazione). “Un discorso analogo è quello della coerenza dell’arbitraggio. Certo, ci possono essere chiamate sbagliate, siamo tutti persone umane e abbiamo grande rispetto per gli arbitri, ma serve che la coerenza sia universale”. Poi, l’attacco al francese Poite che ha diretto l’incontro di Wellington del caso Franks: “Un arbitro francese che dirige un match di Rugby Championship non può essere così incoerente“. La proposta: “Dobbiamo centralizzare il processo di arbitraggio e lavorare insieme in modo globale. Serve indipendenza, ma serve anche senso comune. Dobbiamo farlo, perché dobbiamo dare coerenza”.
Al di là del singolo caso Franks, le parole di Pichot circoscrivono quello che potrebbe divenire alla lunga un problema di adattabilità: con l’evoluzione che il gioco sta via via conoscendo al di sotto dell’Equatore, arriverà un momento in cui gli arbitri dell’Emisfero Nord non saranno più in grado di dirigere quel tipo di gioco? O meglio, arriverà un momento in cui non saranno più funzionali a quel tipo di gioco, fatto di rapidità, dinamicità e in cui talvolta magari si chiude un occhio all’ortodossia regolamentare in favore del lineare sviluppo dell’azione e della manovra? Del resto sono diverse le aree in cui a Nord è maggiore l’attenzione: falli in mischia ordinata, secondi a disposizione del placcato per liberare l’ovale, gate d’ingresso del grillotalpa…Portato alle estreme conseguenze, potrebbe ricordare la differenza di metro arbitrale che esiste tra il basket FIBA e quello statunitense NBA, anche se in questo caso ad essere differenti sono le regole stesse, che Oltreoceano favoriscono lo sviluppo spettacolare dell’azione. Ma come sostiene Pichot, nel rugby è fondamentale mantenere a livello globale una certa coerenza d’azione e di applicazione (e di interpretazione) dell’unico e condiviso regolamento.
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