Brutte indicazioni dal match di Brisbane. E l’Argentina prende (per 55 minuti) il toro per le corna
Le due partite della terza giornata del Championship erano, per motivi tra loro diversi, molto attese. Diverse le indicazioni che ci si aspettava: capire se ma soprattutto come questa Argentina potesse impensierire gli All Blacks, innanzitutto, ma anche fare una diagnosi più precisa sullo stato dei due pazienti illustri Australia e Sudafrica. E in termini tecnici e tattici, quello di Brisbane più che un bollettino medico è un bollettino di guerra.
Partiamo però da Wellington, dove a mezzora dal termine il tabellino diceva 24-22 per la Nuova Zelanda padrona di casa. Fino a quel momento l’Argentina aveva tenuto alla grande il campo, tanto in fase difensiva quanto palla in mano. Prendendosi anche qualche rischio inaspettato, come un paio di contrattacchi dai 22 e in generale la sensazione che l’opzione al piede fosse l’ultima spiaggia della manovra Pumas, anche da lancio del gioco nella proprio metà campo. Nonostante il 55% di possesso, Creevy e compagni hanno calciato solamente 15 volte rispetto alle 21 dei padroni di casa, cifra più bassa fin qui registrata nel torneo da parte delle sfidanti dei tutti neri (22 e 18 il dato dell’Australia dei primi due incontri della Bledisloe). Un piano di gioco che almeno all’inizio ha in parte sorpreso i tutti neri, attenti alla copertura profonda e che hanno per questo concesso superiorità al largo per altro ben esplorate dall’Argentina, con una confidenza di handling e trasmissione che inizia a sorprendere più per i casi di esecuzione negativa. La messa in pratica efficace di un simile game plan, supportato da un’eccellente fase di conquista, permette di collezionare 20 offload, trovare 7 break e battere 13 difensori; ma costringe anche a correre dannatamente per il campo a pulire 105 breakdown, spesso con indisciplina (14 calci di cui un discreto numero in zona punto d’incontro). Nell’ultimo quarto le pile si sono scaricate e gli All Blacks hanno marcato in quasi scioltezza cinque mete nell’arco di 25 minuti allargando il gap in misura molto severa. Insomma, prendere il toro per le corna ha i suoi vantaggi ma basta mollare un secondo per vederlo scappare.
Il bollettino di guerra di Brisbane, si diceva. “Una bella ma partita partita tra due squadre di seconda divisione” è la definizione che Nick Mallett (da SuperSport) ha dato della sfida che ha visto di fronte Australia e Sudafrica. Ed in effetti se pensiamo che di fronte c’erano le squadre arrivate non più tardi di un anno fa sul gradino numero due e tre del podio iridato, è difficile non restare sorpresi di tanta confusione. Si sapeva che il paziente era malato, ma non così gravemente. Il dato di 34 turnover complessivi basta a fotografare una partita in cui errori e gioco rotto l’hanno fatta da padrone: ma quel che è peggio è che nessuna delle due squadre sapeva bene cosa fare delle numerose palle di recupero avute in regalo.
Ha vinto l’Australia, brava a non darsi per vinta ma guidata in regia da un Cooper apparso un pesce fuor d’acqua, quasi timoroso nel scegliere la cosa giusta da fare e spaesato in certe tagliate di campo orizzontali aggirando il breakdown. A togliere le castagne dal fuoco ci hanno pensato il dominio di Folau sulle palle alte, la capacità di Kerevi di dare avanzamento da prima e seconda fase ma, soprattutto, il demerito Springboks di non saper ammazzare la partita. Una qualità che da sempre il Sudafrica si è fatto invidiare è l’istinto di fiutare la preda e darle il colpo di grazia, cosa non avvenuta a Brisbane. Perdere i du Plessis, Burger, du Preez, Matfield e de Villier non deve essere facile soprattutto se questi hanno lasciato il vuoto prima in spogliatoio che in campo (e capitan Strauss lascerà la casacchina a fine 2016). Per coach Coetzee la strada verso il Giappone è lunghissima, piena di ostacoli e grattacapi (uno su tutti quello della mediana, che ancora ha alternato buone scelte a giri a vuoto che difficilmente si vedono sulla scena internazionale).
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.