Marco Pastonesi tratteggia il dipinto e il ricordo di un uomo protagonista del nostro rugby per tanto tempo
E’ stata una battaglia rugbistica, la sua. Dura, tosta, ignorante. Giocata fuori dal campo e dentro il corpo. Più che un’impresa, per vincerla ci sarebbe voluto un miracolo. Perché a sconfiggere Gianfranco – ma per molti era Sandro – Bellè è stato il cancro.
Aveva 71 anni, Bellè, che in milanese suona come una parola ricca di affetto. Ma lui era veneziano di nascita e parmigiano di adozione, ed era giornalista. Tanto calcio, poi rugby, anche altro: giornalista sportivo, dove lo sport è eredità (il papà Ferruccio era arbitro internazionale di calcio, e a lui è stato intitolato il centro sportivo di San Pancrazio), natura, passione, convinzione, infine casa, ambiente, mondo, e sempre opportunità e occasione, ma anche aria e vita. E che lo sport sia rotondo o ovale, che abbia le reti o i canestri, che preveda acqua o neve, poco cambia. Lo sport è il reparto giocattoli della vita, sosteneva un giornalista statunitense, e di questo privilegio qualsiasi giornalista sportivo ne è consapevole e grato. Anche Gianfranco. Ma come giornalista sportivo, che una volta era considerato la serie B della professione, sapeva navigare anche in acque più agitate e inquinate: fu lui il primo, grazie a un documento in cui campava la qualifica di studente, a documentare i moti della Primavera di Praga nel 1968.
Entrato nel rugby come uomo di Giancarlo Dondi, settore comunicazioni, Bellè è stato giornalista alla “Gazzetta di Parma”, opinionista a Parma Tv, autore e curatore di libri, ha avuto incarichi nel Coni e nel Panathlon, frequentava stadi e campi, palazzetti e spogliatoi, anche teatri e salotti. Non era uomo da sentenze e scandali, cercava mediazioni e facilitazioni, tendeva a semplificare ma anche a valorizzare. La sua opera come volontario, silenziosa e anonima, ne rende giustizia. E chi – come noi, testimoni dei rimbalzi di un pallone bizzarro come lo è sempre il destino – lo incontrava in una sala-stampa dell’Olimpico o in una d’attesa all’aeroporto, in una club-house o in un’osteria, apprezzava riconoscente.
di Marco Pastonesi
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