OnRugby intervista il tecnico veneto alla vigilia del kick-off del nostro massimo campionato nazionale
Al via del campionato di Eccellenza 2016/2017 manca poco meno di una settimana. Tra le candidate ad un ruolo di protagonista nel massimo torneo italiano ci sono indubbiamente le Fiamme Oro, reduci da una stagione poco brillante concluso al settimo posto ma con le carte in regola per ritornare ad essere una squadra di vertice. Una di queste carte siede in panchina e risponde al nome di Umberto Casellato, che ritorna ad allenare in Eccellenza a tre anni di distanza dallo scudetto vinto alla guida del Mogliano. OnRugby ha parlato con cui della sua nuova avventura romana.
Umberto Casellato riparte dalle Fiamme Oro: cosa ti ha convinto ad accettare questo progetto?
Arricchirmi dal punto di vista professionale e umano è uno dei motivi per cui ho scelto di fare questo lavoro. Nella mia carriera ho toccato varie realtà del rugby italiano, più o meno grandi: dalla Nazionale Emergenti alle due franchigie, passando per club con grande tradizione come Rovigo e approdando a società più piccole quali Venezia e Mogliano. Ho accettato di allenare le Fiamme perché per me è una realtà tutta da scoprire e che penso abbia le potenzialità per diventare un punto di riferimento per tutti.
Con quali motivazioni affronti questa nuova avventura dopo gli ultimi anni?
Nessuna in particolare. Ho uno spirito competitivo e voglio provare a vincere, ma è quel che vogliono anche gli altri nove miei colleghi dell’Eccellenza e, quindi, non sarà facile. Forse però la motivazione principale è quella di voler tornare a divertirmi facendo il mio mestiere, vivendolo come sempre con passione. Una cosa che avevo perso un po’ negli ultimi tempi…
L’Eccellenza è alle porte: con quali obiettivi si presentano le Fiamme Oro al nastro di partenza del campionato?
Chi siamo ancora dobbiamo scoprirlo bene. Le amichevoli sono sì indicative, ma allo stesso tempo, visto che spesso non si “piazza” e che in una sola partita si fa girare gran parte della rosa a disposizione, possono anche trarre in inganno dando come risultato dei valori che poi, all’atto pratico, non sono totalmente reali. Non chiedermi qual è perché, anche per un po’ di scaramanzia, non lo direi mai, ma con i ragazzi e lo staff ci siamo dati un obiettivo da raggiungere in questa stagione. Però dobbiamo anche fare i conti con il fatto che nelle competizioni si può sempre trovare uno più forte di te. Alla fine conta sicuramente il risultato di un match, ma per me la cosa più importante è quella di essere consapevoli di aver dato il massimo. Quando si raggiunge questa consapevolezza, allora si è cresciuti tutti come Società.
Buscema, Caffini, Cristiano, Tenga, Martinelli, Kudin… Innesti importanti per il livello dell’Eccellenza, che vanno ad aggiungersi ad una rosa già piuttosto competitiva
Direi che sono arrivati giocatori di qualità che hanno avuto esperienze con club ad ogni livello, ma sono dell’avviso che la chiave per disputare un buon campionato sia l’ampiezza della rosa e l’impegno che tutti i giocatori possano metterci per puntare a certi obiettivi.
Quanto tempo servirà alle Fiamme Oro per far sì che diventino le Fiamme Oro di Umberto Casellato?
Difficile dirlo, spero avvenga il prima possibile. Stiamo cercando di impostare un tipo di gioco un po’ diverso da quello degli scorsi anni e i ragazzi stanno cercando di apprendere al meglio tutte le nozioni. Vivendo il campo giornalmente con i ragazzi, posso dire senza ombra di dubbio che tutti si stanno allenando con il massimo impegno e professionalità, anche perché con una rosa di 40 elementi c’è grande competizione per conquistarsi una maglia da titolare. Questo per me è già un segnale molto positivo.
Ritorni in Eccellenza dopo diverse stagioni: che campionato ritrovi e cosa proporresti per modificarlo?
Ho sempre seguito l’Eccellenza dal di fuori in questi ultimi anni, ma non mi sento in grado di darti una risposta esauriente. Quel che penso è che ora il mio compito sia quello di allenare questo club, non quello di trovare idee. Quelle le lascio a chi ha questo compito in Federazione, che studia il Campionato producendo dei report e trasmettendoli agli organi preposti a trovare le soluzioni per un miglioramento.
Hai vissuto esperienze da capo allenatore sempre in Veneto finora, cosa si prova a trasferirsi in un realtà diversa come Roma?
Nulla in particolare. Quando ho scelto di fare questo lavoro ho chiaramente messo in conto l’eventualità di dovermi spostare. Ripeto, sono un tipo curioso e mi piace conoscere nuove realtà, visitare altre città e approfondire sempre di più l’esplorazione del mondo cui ho scelto di appartenere, nonché tutto quel che gli gravita intorno.
Negli anni scorsi hai avuto modo di studiare da vicino il rugby in Nuova Zelanda: cosa hai imparato da quella trasferta e, se possibile, cosa potrebbero imparare i tecnici italiani da un’esperienza del genere?
Ritengo che il modello neozelandese sia impossibile da importare per tutti, soprattutto per ragioni culturali: lì il rugby è considerato alla stregua di una vera e propria religione. Certo, da loro si può solo imparare e cercare di adattare ciò che si è imparato al rugby di casa nostra. E non è proprio la cosa più semplice…
Daniele Pansardi
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