Il seconda linea canadese aveva accusato il suo ex club di negligenza in merito a due commozioni cerebrali del 2015
Delle accuse di Jamie Cudmore a Clermont di negligenza nei confronti delle concussion subite nel 2015, durante la semifinale e la finale di Champions Cup, ne avevamo parlato anche su queste pagine. Il canadese aveva puntato il dito contro il suo ex club dichiarando come lo staff tecnico avesse “giocato con la mia salute, con il mio futuro”, consentendogli di ritornare in campo nonostante il giocatore non avesse superato il protocollo per le commozioni cerebrali. Negli scorsi giorni, tuttavia, il 38enne nordamericano è passato dalle parole ai fatti. Cudmore infatti ha intrapreso un’azione legale contro Clermont per le presunte violazioni nelle procedure di controllo medico per le concussion, seguendo così la strada dell’ex mediano di mischia dei Sale Sharks Cillian Willis.
In riferimento alla semifinale contro i Saracens, Cudmore ha raccontato come sono andate le cose nello spogliatoio. Dopo lo scontro con Vunipola, il giocatore si è sottoposto all’HIA con i medici della società “con le solite domande, se ricordavo cinque o sei parole e di dirle al dottore – ha spiegato in un’intervista al Daily Mail – Non avevo chance. Probabilmente ho ricordato soltanto una delle parole […] Ero disperato. Era una semifinale e volevo essere in campo. Ero arrabbiato. Torno nello spogliatoio, non avevo nemmeno tolto le scarpe quando il dottore è tornato chiedendomi come mi sentissi, perché Vahamaahina si era infortunato a sua volta. Mi ha chiesto se potevo tornare in campo e sono uscito nuovamente per giocare”.
Il racconto del canadese continua poi con la finale contro Tolone: “Dopo due o tre minuti sono stato costretto ad uscire per un colpo – ha dichiarato – Ho seguito il protocollo e pensavamo che fosse tutto a posto, per cui sono rientrato. Durante il match ho avuto un altro scontro con Juan Smith e sono uscito. Nello spogliatoio ho cominciato a vomitare. Non sapevo niente della sindrome da secondo impatto, non sapevo che sarei potuto morire. Benson Stanley, che era lì, mi ha chiesto come abbia potuto il dottore permettermi di ritornare in campo. Sono preoccupato del mio futuro – ha continuato Cudmore – Non voglio essere uno di quegli uomini che a 65 anni non ricorda più nulla”.
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