Parole molto dure dell’ex capitano della Francia. Che elogia Parisse e Dupuy
In vista dell’uscita del suo libro Double Jeu, Pascal Papé ha rilasciato una lunga intervista a Le Figaro in cui ripercorre tanti anni di carriera. E non risparmia attestati di stima, stoccate e critiche nei confronti della nuova generazione di giocatori Bleus.
“Durante i miei anni con la maglia della nazionale (65 caps dal 2004 al 2015), ho assistito impotente alla progressiva scomparsa di una sorta di intimità collettiva e dei valori che essa portava. La parola degli anziani e la stessa maglia non hanno più lo stesso effetto di un tempo”. Papé rincara la dose: “I giovani gestiscono la propria immagine e la carriera come fossero artisti del mondo dello spettacolo […] Oggi è importante avere follower su Twitter e Instagram, dopo la partita c’è fretta di andare in camera e postare. Ricordo che durante la Coppa del Mondo 2015 si restava in tre quattro veterani al tavolo”. “Per me la squadra francese era una sorta di mito, indossare la maglia un sogno e non un fatto di monetizzazione”. E proprio l’aumento dei budget è per il seconda linea alla base di molti cambiamenti: “Non è colpa dei singoli, ma del rugby che è cambiato: quando ero uno dei più pagati del Top14 prendevo 25.000 Euro al mese, ora si viaggia sul triplo e i valori svaniscono. A cinque minuti dal kick off c’è gente che ancora ha addosso le cuffie con la musica…” In ballo c’è l’essenza del rugby: “Senza i suoi valori il rugby non può sopravvivere. E ciò mi preoccupa, perché un giocatore deve averli nel suo DNA: avere solo talento non serve”.
Diversa invece l’esperienza nello Stade Francais, dove Pape milita dal 2007. “Persone come Julien Dupuy e Sergio Parisse sono i garanti di quei valori, che sopravvivono. Nello spogliatoio c’è un reale rispetto per gli anziani. Paul Gabrillagues, classe 1993, gioca molto spesso (8 presenze questa stagione, ndr) ma ha molto rispetto: mi parla, mi fa domande sulla mia carriera. E io sento di trasmettere qualcosa. Ma dopo di noi chissà”.
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