Nella capacità di contrattaccare a gioco rotto sta una buona parte della differenza tra “loro” e “il resto”
Sabato 22 ottobre 2016, Eden Park di Auckland, ora italiana le 10 (circa). Gli All Blacks sono avanti 22-10 contro l’Australia e si preparano ad entrare un’altra volta nella storia ovale con il successo consecutivo numero 18, record mai riuscito a nessuna nazione Tier One. Tutto normale, se non fosse che fino a quel momento della partita Read e compagni non hanno avuto nemmeno il 30% di possesso e territorio. La squadra in nero ha passato i primi sessanta minuti di gioco a far sfuriare fisicamente e mentalmente gli avversari placcandoli (120 volte) e calciando per costringerli a ripartire dal fondo (il triplo dei possessi calciati rispetto a quelli australiani). Tutto straordinariamente normale, se non fosse che in mezzo ha marcato pure quattro mete, tre delle quali nella prima mezzora di sfida, per poi prendere il largo nell’ultimo quarto di gioco (cosa possibile grazie ad una mirata preparazione atletica e all’impatto dei giocatori che entrano a partita in corso). Letali.
Tra tutte le aree e situazioni di gioco in cui gli All Blacks eccellono, una in particolare sta facendo più di altre la grossa differenza tra “loro” e “il resto” ed è la capacità di punire gli errori avversari sulle turnover ball. Basta rivedere gli highlights di sabato (o di una qualunque altra partita) per accorgersi di quanto devastanti siano i contrattacchi che nascono da palla di recupero che si concludono con break profondi e marcature (Savea e Coles sabato). In un rugby con difese sempre più aggressive, ordinate ed efficaci e in definitiva difficili da “abbattere” a suon di autoscontri, le situazioni di gioco rotto rappresentano i momenti più importanti in cui è possibile attaccare un avversario male posizionato, tanto più se la palla di recupero scaturisce da un lungo multifase in pieno campo avversario che schiaccia la squadra coinvolgendo sulla linea tutto il pendolo del triangolo allargato, con conseguente mancanza di copertura profonda. Tre attacchi Wallabies a testa bassa in piena zona rossa si sono conclusi con altrettante risalite del campo coast to coast da parte degli All Blacks, di quelle che ammazzano gambe e partita.
Proprio perché una situazione non ordinaria e non inquadrabile tra i momenti più standard (come lancio del gioco da prima fase ed eventuali successivi movimenti), è nel contrattacco che i singoli e collettivamente la squadra fanno vedere il meglio delle proprie qualità. Trasformare un’azione da difensiva ad offensiva richiede alcune delle skills più evolute di un giocatore: capacità di leggere la situazione e adattamento, immediato decision making per capire come meglio utilizzare il possesso in base a sostegno e disposizione degli avversari, capacità di eseguire gesti come passaggio e ricezione in situazioni più complicate perché improvvise e non costruite. Tutte abilità in cui in questo momento gli All Blacks sono avanti (e non di poco) rispetto alle altre avversarie, sia individualmente che collettivamente.
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